Stefano Luppi
Leggi i suoi articoliMaria Luisa Pacelli (Perugia, 1969), storica dell’arte, è dallo scorso autunno direttrice della Pinacoteca Nazionale di Bologna, museo statale dotato di autonomia dallo scorso anno. Dal 1999 al 2020 alle Gallerie d’arte moderna e contemporanea del Comune di Ferrara (direttrice dal 2010) e dal 2010 alla Fondazione Ferrara Arte a Palazzo Dei Diamanti (alla direzione artistica dal 2011), in questi primi mesi di lavoro a Bologna ha gestito le problematiche causate da Covid-19 in uno dei più importanti musei del Nord Italia.
Lei è passata da musei comunali a un museo autonomo statale. Quali sono le maggiori differenze?
In un ente locale il rapporto tra un direttore di museo e coloro che prendono decisioni d’indirizzo, stanziano le risorse, approvano programmi, è molto diretto. Questo rende agevole, anche se a volte problematico, il confronto sulle questioni specifiche. Il Ministero ha un altro orizzonte, promuovendo una visione d’insieme che punta a far crescere il sistema museale italiano nel suo complesso. Sta pertanto ai direttori fare sintesi tra gli indirizzi generali e gli obiettivi particolari.
Come sono cambiati i musei negli ultimi anni? Quanto è merito della Riforma Franceschini?
A mio parere l’effetto positivo della riforma è stato soprattutto quello di aver spinto i musei e, più in generale, i luoghi della cultura, a orientare il proprio punto di vista a favore degli utenti. Si tratta di un aspetto che ha a che fare con il ruolo del museo come servizio pubblico ed è pertanto strettamente legato al tema della sostenibilità e prosperità di questa istituzione nella società contemporanea. Questo punto di vista è passato in secondo piano nei dibattiti sulla riforma, spesso incentrati su una poco significativa contrapposizione tra valorizzazione e tutela.
I musei sono stati spesso chiusi in questo lungo anno: non si poteva fare di più per tenerli aperti?
Credo sia stato messo in campo uno sforzo eccezionale per garantire le aperture in questa situazione. Poiché, se si entra seriamente nel merito della questione, il tema vero e non banale è piuttosto come garantire a un tempo la sicurezza del patrimonio e quella delle persone. Tanto per fare un esempio: per cambiare l’aria in un ambiente che ospita un certo tipo di opere d’arte non si può semplicemente aprire le finestre e la realtà è che non tutti i musei italiani sono perfettamente attrezzati a livello di strutture. Il lavoro è in corso e le soluzioni non sono immediate.
Prevede di attuare modifiche alla Pinacoteca e ha già dei progetti in merito?
Una priorità per il museo, a cui si sta lavorando, è la sistemazione dei depositi e laboratori annessi, passaggio fondamentale per la conservazione del patrimonio. Attività propedeutica per tanto altro, come il rinnovato percorso museale, obiettivo sul quale la Pinacoteca dovrà investire molto in termini di studio e progettazione, poiché di non semplice attuazione, a causa dell’insufficienza degli spazi rispetto alla consistenza delle collezioni. Oltre che per la presenza di un allestimento storico vincolante, da tutelare di per sé.
Che cosa prevede per i prossimi mesi?
Sto valutando la fattibilità di una serie di iniziative che puntino a riaffermare il legame tra la città e il museo. Ad esempio, un progetto incentrato sul recupero da parte di Canova delle opere partite per la Francia dopo il Trattato di Tolentino del 1797. La storia è interessante poiché, oltre a puntare l’attenzione su fatti relativi all’attività diplomatica e artistica dello scultore a Bologna, consente di rievocare un episodio significativo del rapporto dei bolognesi con il proprio patrimonio artistico. Lo testimoniano le cronache dell’epoca dando conto del successo dell’esposizione delle opere ritornate, nell’attesa che fossero predisposte le sale della Pinacoteca destinate a ospitarle. Il tema si presta inoltre a collaborazioni con altre istituzioni, prima fra tutte l’Accademia di Belle Arti con cui il museo condivide una parte importante della propria storia.
Come intende inserire la Pinacoteca nel tessuto museale locale e nazionale?
La storia antica e moderna della Pinacoteca Nazionale racconta un’istituzione con una forte vocazione civica. Nata come quadreria dell’Accademia di Belle Arti con scopi didattici, la sua missione diventa presto quella di costituire e tramandare la più vasta collezione pubblica di arte bolognese. A partire dal dopoguerra, con Cesare Gnudi e poi Andrea Emiliani, cresciuto al suo fianco, il museo è uno dei motori dello sviluppo civile e culturale della città. La loro idea del museo come un tutto organico, e la loro visione capace di tenerne assieme istanze scientifiche, tecniche e «politiche» è a mio parere un riferimento importante anche per il presente e il futuro di questa istituzione.
Dopo il Covid19 resterà qualcosa nei musei dell’esperienza che stiamo vivendo?
Certamente sì. Al di là della molteplicità di esperienze che le istituzioni culturali hanno maturato nella proiezione dei propri contenuti da remoto, dedicati in particolare alla digitalizzazione del patrimonio, ciò che mi auguro è che rimanga la percezione di quanto sia insostituibile l’esperienza della visita in presenza. La prossimità con le opere e la loro materia.
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