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Il nome di battesimo, Jacobus Hermanus Pieters, denuncia con evidenza l’origine olandese di Kendell Geers, nato a Johannesburg nel 1968, in una famiglia di boeri (gli afrikaner, colonizzatori olandesi del Sud Africa): europeo d’origine dunque, ma africano per scelta.
Tanto da cambiarsi il nome in Kendell e da subire il carcere e poi l’esilio per le sue proteste contro la discriminazione razziale. Artista, curatore, musicista, designer, scrittore, ma anche «animista e mistico, sciamano e alchimista, punk e poeta», come ama definirsi, presente due volte alla Biennale a Venezia e due a documenta, Kendell Geers è il protagonista, dal 21 settembre al 30 gennaio, della mostra «OrnAmenTumEtKriMen», curata da Danilo Eccher per M77.
Sin dal titolo, che rende omaggio al saggio di Adolf Loos Ornamento e delitto, 1908, l’artista proclama la sua adesione al Minimalismo. E di segno minimalista è l’installazione «Hanging Piece» (del 1993, ma ripensata per questo spazio), con i suoi mattoni appesi al soffitto con rosse corde a cappio. Riflessa in un pavimento specchiante, l’opera è illuminata dalle scritte al neon «danger, terror, border» che, a intermittenza, diventano «anger, error, order».
Di seguito scorrono gli ultimi lavori (stampe lenticolari, fotografie di fiori e piante, dipinti di nature morte, sculture) in cui Geers rende omaggio alla natura con un approccio mistico e sciamanico, dalle radici profondamente africane.

L'installazione «Hanging Piece» del 1993 di Kendell Geers viene ripensata per lo spazio milanese
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