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Valeria Tassinari
Leggi i suoi articoliPagine tattili su carta tibetana, supporto prezioso che da quarant’anni porta un respiro d’Oriente in una ricerca pittorica sedimentata e raffinata, e pagine selezionate nella storia di un percorso creativo che si rivela inaspettatamente coerente: la personale «Pagine» che Davide Benati (Reggio Emilia, 1949) ha costruito in stretto dialogo con il gallerista della Otto Gallery Giuseppe Lufrano è un diario visivo, un racconto minimo «per opere scelte ritrovando inaspettate affinità, interrogandosi su una poetica» che, come sottolinea l’artista, «partendo da un grande lavoro del 1980 dal titolo “Dedalus”, esposto nella fase emergente della mia carriera, arriva ad oggi con un’opera che s’intitola “Grande mattino”».
Non una lettura meramente cronologica, ma una selezione essenziale per relazioni «intuitive», un filo rosso disteso per richiami riallacciati tra segni e gesti liberi, affondi nel nero, ritorni al colore e poi ancora al nero, come quello rinnovato e saturo dei lavori più recenti. Un progetto espositivo articolato in tre sale che scandiscono tre decenni, poche opere ma importanti poste in relazione tra loro in un’alternanza di pieno e rarefazione, monocromo e policromia, per tracciare la sintesi di una linea espressiva originale e riconoscibile, attraversando diversi momenti di ispirazione dell’autore.
Pagine inizialmente libere, come bandiere tibetane a fremere nell’aria di una composizione totemica, poi intelate, ma sempre alla ricerca di un gioco di velature che restituiscono corpo alla tecnica dell’acquarello, lavorando per gradi sul gesto che interrompe il vuoto, tema trasversale di un percorso espressivo che affonda nella cultura e nella spiritualità orientali, cercando l’epifania di una bellezza che si rivela all’improvviso nel segno tracciato dall’uomo. Fino al 16 aprile.

«Cigno nero» (2021) di Davide Benati
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