
Giorgio Guglielmino
Leggi i suoi articoliGià è difficile descrivere, anche se con l’ausilio di un’immagine, un quadro, figuriamoci un’installazione sonora! Ma l’opera è talmente bella che credo valga la pena di fare un tentativo.
L’opera in questione si intitola «War damaged musical instruments» di Susan Philipsz, esposta a Berlino presso l’Hamburger Bahnhof nell’ambito della mostra «Moving is in every direction» aperta fino al 17 settembre. In una grande sala bianca e totalmente spoglia sono appesi al soffitto sei altoparlanti. Ogni altoparlante emette una singola nota che proviene da uno strumento a fiato. I sei altoparlanti (che non emettono mai suoni tutti insieme) diffondono una melodia lenta, ipnotica e bellissima.
Ma ciò che rende ancora più affascinante l’opera è il fatto che i sei strumenti a fiato (rinvenuti in collezioni sparse per il mondo) erano stati tutti recuperati da situazioni di guerra: una tuba era stata trovata in una trincea tedesca della prima guerra mondiale; una tromba era stata usata durante una carica di cavalleggeri in Crimea nel 1854; un’altra tromba era a bordo di un cacciatorpediniere affondato da un siluro nel 1918; e così via.
L’artista fa rivivere strumenti che erano rimasti muti anche più di 100 anni mettendo insieme vincitori e vinti e crea una melodia di una semplicità magica e struggente. Materializza il potere della musica e la sua forza che prevale su qualunque tipo di accidente terreno, anche il più drammatico come appunto una situazione di conflitto bellico. Le singole note che fuoriescono dagli strumenti a fiato attraversano il tempo. Perché la musica, come l’arte in generale, non muore mai.
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