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«Adamo ed Eva piangono su Abele» (1831-32), di Giovanni Carnovali detto «il Piccio»

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«Adamo ed Eva piangono su Abele» (1831-32), di Giovanni Carnovali detto «il Piccio»

Il Piccio e i suoi satelliti

Al Museo Civico Ala Ponzone l’acquisizione di 15 disegni inediti è l’occasione per un confronto con i tanti imitatori del maestro lombardo

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

A 150 dalla drammatica scomparsa di Giovanni Carnovali detto «il Piccio» (1804-73), annegato nelle acque del Po in cui amava nuotare, la città di Cremona, con cui l’artista ebbe una fitta consuetudine, e dove è sepolto, gli rende omaggio con l’acquisizione di una preziosa raccolta di suoi disegni inediti e con una mostra di studio sviluppata intorno a questo nucleo grafico da Renzo Mangili, autore del più aggiornato catalogo della sua opera pittorica (Piccio. Tutta la Pittura e un’Antologia Grafica, 2014, Lubrina Editore-Fondazione Giorgio Cini).

La mostra «Piccio su carta: florilegio in contesto», nel Museo Civico Ala Ponzone dal 20 dicembre al primo aprile (catalogo Allemandi), esibisce per la prima volta i disegni della collezione formata all’inizio del ’900 da Guido Coggi, avvocato e intellettuale cremonese, appena acquisita dalla Città, che comprende 15 carte autografe del Piccio e due di Francesco Corbari (cremonese, minore di una ventina d’anni e suo fin troppo fedele imitatore), insieme ai quali sono esposti altri 50 disegni autografi del Carnovali, 11 suoi dipinti (tutti capolavori di gelose collezioni private, visti ben raramente, se non addirittura inediti) e 25 tra disegni e piccoli dipinti del suo entourage, da Giuseppe Diotti, maestro del Piccio all’Accademia Carrara di Bergamo, allo stesso Corbari, a Enrico Scuri, Francesco Coghetti e Giacomo Trecourt, questi ultimi compagni di studi a Bergamo. Intorno, alcuni esempi di arti decorative, dalla glittica di Giuseppe Beltrami ad alcuni mobili Impero e Biedermeier, per evocare il gusto del tempo. E, accanto, la ricca raccolta di opere del Piccio, di Diotti e di altri artisti dell’epoca delle collezioni del Museo Ala Ponzone. Ne parliamo con il curatore.

Dottor Mangili, incuriosisce che nella raccolta di un conoscitore come Guido Coggi figurino due opere del poco noto Corbari. Era un imitatore così efficace?
All’inizio del ’900 accadeva spesso, anche a collezionisti colti e avvertiti, di farsi ingannare, perché, già mentre Carnovali era in vita, si diffuse il fenomeno del «piccismo» e si moltiplicarono gli imitatori. Corbari specialmente ingannò più d’uno e io stesso, all’inizio, ammetto di esserci cascato. In realtà Corbari, al contrario del Piccio, è un petit maître. E la mostra, che mette a confronto disegni dell’intero percorso del Piccio con quelli di suoi «satelliti», si propone proprio di offrire le chiavi per distinguere le diverse mani: di un artista come lui, che traduceva immediatamente il pensiero in immagine, quasi fosse una scrittura automatica, se si può imitare lo stile, non si può contraffare il segno.
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Questa confusione con gli imitatori, perdurata lungamente (fino alla pubblicazione del suo catalogo del 2014, che ha ridotto a meno di 500 i dipinti autografi) ha certo danneggiato l’immagine del Piccio.
Sicuramente, tanto che fino ad allora si sentiva ripetere: «Il Piccio è un genio; peccato che abbia delle cadute». Le «cadute» in realtà non erano sue, ma degli imitatori. Ma una volta imboccata la strada per riconoscere l’originale, tutto viene di conseguenza. Oggi, poi, la riflettografia consente la lettura del disegno sottostante al dipinto e offre ulteriori dati certi. La stessa lettura maturata sui dipinti l’ho applicata al corpus grafico (cui sto lavorando da alcuni anni) e anche qui, a oggi (sebbene non si escluda che esistano altri fondi attualmente inaccessibili) si arriva a circa 500 numeri di catalogo. Perché il Piccio era sì prodigiosamente veloce ma, meditativo e girovago com’era, non era affatto prolifico. La ripulitura del corpus del Piccio dalle infiltrazioni di Corbari (e altri) va operata su pittura e grafica insieme, dal momento che i due ambiti s’intrecciano inestricabilmente.

Se ebbe tanti imitatori, è perché, in vita, era molto apprezzato. Chi erano i suoi collezionisti?
Era il pittore più amato dai progressisti e che più spaventava i conservatori. Del resto, sebbene partendo da premesse ben diverse (lui era innamorato di Correggio, Parmigianino e Appiani, oltre che di Rembrandt), il Piccio arrivò allo sfaldamento della materia e della luce ben vent’anni prima dell’Impressionismo.

Ada Masoero, 18 dicembre 2023 | © Riproduzione riservata

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Il Piccio e i suoi satelliti | Ada Masoero

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