Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliIl Giornale dell’Arte ha parlato con Gloria Moure, curatrice della retrospettiva dell’artista piemontese al Guggenheim di Bilbao, a pochi giorni dall’inaugurazione. Tra i più importanti esponenti dell’Arte povera Giovanni Anselmo si è spento a Torino il 18 dicembre a 89 anni.
«Ho conosciuto Giovanni Anselmo all’inizio degli anni ’90 e con il passare del tempo la nostra relazione si è consolidata attraverso mostre, conversazioni e progetti. Con la sua morte, il mondo perde un artista meraviglioso, radicale, riservato, coerente e autentico, con una mente privilegiata, lucida fino all’ultimo minuto. Io ho perduto anche un grande amico proprio alle soglie della presentazione di una mostra in cui si era implicato come non mai in tutti gli aspetti: la scelta delle opere e il loro dialogo, l’allestimento, i testi e addirittura accettando di apparire in foto sulla copertina del catalogo». Lo afferma Gloria Moure, una delle grandi esperte internazionali di Arte Povera, curatrice della mostra «Giovanni Anselmo. Al di là dell’orizzonte», che si presenterà nel Museo Guggenheim di Bilbao, dal 9 febbraio al 19 maggio.
La rassegna riunisce un insieme di opere particolarmente significative che permettono di realizzare un’analisi completa della pratica artistica di Anselmo (Borgofranco d’Ivrea, 1934 – Torino, 2023), dalle prime sperimentazioni scultoree degli anni ’60, in cui sfida la nozione di struttura fissa, fino al suo ultimo lavoro, «Mentre verso oltremar il colore solleva la pietra», un’opera site specific per il Museo Guggenheim, che non solo è stata appositamente concepita per lo spazio della galleria che la ospita, ma è anche stata realizzata con pietra calcarea di una delle cave ancora in attivo nei Paesi Baschi.
«Questa mostra di per sé stessa è una creazione di Giovanni. Ha carattere di retrospettiva, ma Giovanni non ha mai lavorato con un’idea cronologica lineare. Concepiva la realtà, gli eventi, i fenomeni naturali e il proprio oggetto artistico come un flusso continuo, un progresso circolare che si riflette nell’allestimento collegando in modo nuovo le opere più emblematiche della sua carriera. Inoltre conferma il rapporto che esiste tra le opere e lo spazio, un elemento determinante perché è dove avviene l’incontro tra le forze e le dinamiche attivate dalle opere» continua Moure, che nel 1995, inaugurò il programma espositivo del Centro Gallego d’Arte Contemporanea di Santiago de Compostela, di cui era appena stata nominata direttrice, con la mostra «Giovanni Anselmo. Qui e là e verso oltremare mentre il colore solleva la pietra». La curatrice si emoziona ricordando l’entusiasmo e la generosità con cui l’artista si implicò in quel progetto per un centro che stava movendo i primi passi.
Gloria Moure ricorda anche gli inizi di Anselmo «un disegnatore e un pittore eccezionale, che abbandonò presto l’idea tradizionale di rappresentazione». L’artista si trovava a Stromboli con un amico che, senza volontà alcuna di provocare un’epifania, gli scattò una fotografia ricordo sulla sommità del vulcano, in cui per un effetto ottico l’immagine dell’artista appariva priva di ombra. «Fu come sperimentare la dissoluzione della propria ombra nell’infinito. In quel momento Giovanni prende coscienza di essere parte integrante di un universo immenso in continua trasformazione e da allora decide di presentare la realtà attraverso materiali esistenti e relazioni fisiche fondamentali come la precarietà dell’equilibrio, i campi magnetici o la forza di gravità. Giovanni aveva la capacità di rendere visibile l’invisibile» spiega Moure, che ha collocato la famosa fotografia giusto all’inizio di un percorso di opere emblematiche. Tra queste «Trecento milioni di anni», un piccolo pezzo di antracite che trasmette la densità del tempo millenario e «Senza titolo (Struttura che mangia)», che allude alla trasformazione dell’energia naturale e allo scorrere del tempo, attraverso la caduta di un blocco di granito dovuta alla decomposizione di una lattuga.
«Poetico e politico, fu considerato un rappresentante dell’Arte Povera (più che un vero movimento, un’idea geniale di Celant), ma non si sentì mai comodo con l’etichetta. Era estremamente diretto e la semplicità del suo linguaggio lo fa sembrare complicato. Siamo abituati a ricevere valanghe d’informazioni, mentre Anselmo ti fa sentire, ti offre esperienze che non percepiamo abitualmente e ti rende cosciente del mondo» assicura la curatrice che invita il pubblico ad avvicinarsi alle opere senza pregiudizi. «Pochi artisti della seconda metà del ’900, hanno saputo configurare i cambiamenti fondamentali nella formalizzazione plastica di un’idea, con la poesia, la bellezza, la radicalità e la semplicità di Anselmo» conclude Moure. La rassegna si presenterà in una versione ridotta al Maxxi di Roma a maggio.
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