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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoli«Io stesso appartengo alle cause dell’eterno ritorno», afferma Nietzsche ne La gaia scienza elaborando la sua concezione ciclica dello scorrere del tempo. Una spirale eterna, un loop che imbriglia l’uomo e che prende forma nelle opere di Carlo Zoli, cui la Regione Toscana dedica una monografica nel Palazzo Guadagni Strozzi Sacrati a Firenze dal 7 marzo al 13 aprile. Curato da Greta Zuccali, intitolato «L’infinito volgere del tempo», il percorso inquadra la ricerca dell’artista nella sua «costante ricerca dell’umano», spiega la curatrice.
Barese classe 1959, figlio d’arte, quarta generazione di una famiglia di stimati ceramisti faentini, Zoli vive e lavora a Faenza dal 1967. Premiato per la categoria ceramica alla XIV Florence Biennale, ha esposto in numerosi musei, gallerie, fiere e biennali in Italia e all’estero. Noto esponente della scultura figurativa contemporanea, egli plasma nell’argilla «figure e profili al tempo stesso familiari e non: in parte divinità, in parte individui mortali, in parte qualcos’altro ancora. Sono creature del tutto simili a quelle che abitano la Terra che si concedono tuttavia il lusso di vivere le proprie passioni liberamente, scegliendo altresì di abbigliarsi di fantasie e sogni. I personaggi di Carlo Zoli popolano un paesaggio immaginato dove convivono bellezza e provocazione, terra e cielo, dove nulla è omologato e in cui tutto può ancora stupire», spiega la curatrice.
Varie le serie esposte in mostra e i personaggi nati dall’argilla, finemente modellata e lavorata con patine, smalti e metalli preziosi. Fra questi il re di Chiusi, Lars Porsenna, che, secondo le più probabili ricostruzioni storiche, fu alleato di Tarquinio il Superbo e protagonista di un periodo di dominazione etrusca di Roma. La prima opera che lo raffigura accoglie i visitatori sullo scalone d’onore, omaggio alle radici della cultura toscana, oltre che italica. L’elmo dorato con la piuma rossa, il mantello, lo scudo, la spada, la sua figura si erge stante dentro un cerchio.
Poco più avanti, invece, appare in groppa a un possente cavallo, immortalato mentre atterra da un lungo balzo con le zampe posteriori alzate, nel preciso istante in cui il massimo dell’energia accumulata sta per essere rilasciata a terra, una posa che suggerisce il pieno di un’azione, di una battaglia. La struttura e la proporzione dell’animale, i lineamenti abbozzati del viso del re, la tensione verticale che caratterizza la composizione, accentuata dalla coda all’insù, porta alla mente i disegni di Leonardo per la progettazione del monumento equestre a Francesco Sforza, nei quali studiò approfonditamente l’anatomia del cavallo e la sua resa.
Cavalli ed eroi mitologici sono figure ricorrenti nell’opera di Carlo Zoli. Pegaso, per esempio, una versione del destriero alato si erge davanti a noi con le fauci spalancate, cavalcato da Perseo intento a scrutare l’orizzonte, lanciato in straordinarie imprese. Anche qui colpisce l’equilibrio della composizione, tagliata in due dalle strette e lunghe ali di Pegaso che svettano in verticale e bilanciano da un lato il muso del cavallo, sulla sinistra, dall’altro il busto di Perseo, sporto sulla destra, mentre un buio fitto e impenetrabile invade gli occhi cavi di Perseo e la bocca vuota e spalancata di Pegaso, come un urlo cui in un sogno non si riesce a dare voce.
«Immergere le mani nell’argilla, modellarla fino a farle raggiungere l’esatta forma dell’immaginazione. Godere dei vuoti e dei silenzi del lavoro creativo. Delle sue solitudini», scrive l’artista a proposito del suo lavoro. I personaggi scolpiti da Zoli sono spesso sospesi tra due tensioni opposte, l’agire e il soccombere. I «Titani», per esempio, metafora delle forze primordiali del cosmo, sfilano compatti e sinuosi. L’elmo e lo scudo dorati, di una luce quasi abbagliante, il corpo scuro, le lance lunghe e sottili che spingono la composizione verso l’alto, mentre una base lucida ne riflette e amplifica il movimento: alcune lance sono leggermente inclinate, così come alcuni copri sono incurvati o a testa bassa. «In questa indagine, affascinante e necessaria, lo scultore e lo spettatore devono scegliere che cosa deve essere estratto, con il fine di trovare il giusto equilibrio tra la forza e il silenzio in questo tempo che eternamente ritorna ed eternamente scompare», afferma la curatrice.
La tensione che alimenta il lavoro di Zoli è anche quella tra il moderno e la classicità, un’inedita sintesi nella quale i tocchi rapidi di una gestualità di matrice espressionista sono bilanciati da una rigorosa ricerca di armonia ed equilibrio o, viceversa, una rigorosa ricerca di armonia ed equilibrio è perturbata da una gestualità di matrice espressionista. «Il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine» diceva Theodor W. Adorno, dare voce dell’eterno rincorrersi tra l’ordine e il caos.






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