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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliNella produzione di Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964) la pratica dell’acquaforte affiancò costantemente quella della pittura. Le prime prove risalgono infatti ai primi anni Dieci del Novecento. I modelli erano allora i maestri storici, come Rembrandt e Barocci. Si sa che del primo possedeva un esemplare dell’incantevole «Negra sdraiata»: ma più che al magistrale e micromaterico lavorio di «freghi e freghetti», tra riprese di morsura e passaggi di raschietto, che avevano incuriosito Filippo Baldinucci, tra i primi biografi rembrandtiani, Morandi avrebbe tratto dal maestro olandese l’esemplare utilizzo degli intrecci segnici nella resa tonale di una composizione.
Una mostra aperta sino al 28 aprile da De Primi Fine Art esibisce un nucleo di incisioni di Morandi tratto dalle 138 licenziate da un artista noto anche per il rigore autoseletttivo. Vi sono documentate le rare escursioni nel paesaggio e le assai più frequenti nature morte laddove il più celebre peintre-graveur del Novecento italiano dimostra come la stampa possa coesistere a pari dignità con la pittura. Morandi rivela come la ricchezza tonale possa essere ottenuta con un linguaggio segnico quanto mai essenziale e, in questo, per nulla aderente al mito alchemico tradizionalmente attribuito dell’arte acquafortistica.
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