Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoliL’avventura della riscoperta del passato etrusco di Pontecagnano ha preso avvio da un ritrovamento casuale avvenuto nell’aprile del 1962: l’allora soprintendente archeologo Mario Napoli incaricò un giovane funzionario, destinato a divenire uno dei maggiori archeologi italiani, Bruno d’Agostino, di verificare la notizia della scoperta di alcune tombe durante gli sterri per l’edificazione di una palazzina.
Da allora la ricerca sul passato di questa località, a pochi chilometri da Salerno, è andata avanti cercando di tenere insieme le ragioni della tutela con quelle della ricerca. Non solo, cercando di fare comprendere che ricerca, tutela e sviluppo possono marciare insieme e contribuire alla crescita di una comunità. Né si può dimenticare che vi si sono formate ormai diverse generazioni di archeologi.
Da quegli scavi sono nati un Parco archeologico, che costituisce il più significativo e pressoché unico spazio verde aperto alla cittadinanza nell’attuale area urbana, e un Museo archeologico nazionale intitolato agli «Etruschi di frontiera». Presto, attraverso un ingresso diverso per l’edificio che lo ospita, il raccordo tra museo, centro storico e parco potrà divenire ancora più stretto e creare una sorta di «corridoio» virtuoso.
Torniamo, comunque, alle ricerche condotte sinora che hanno portato alla scoperta di più di 10mila tombe databili tra la prima Età del Ferro e il III secolo a.C.; al rinvenimento di un santuario di Apollo e di un’altra area sacra dedicata a una divinità, il cui nome Luas è ricordato in un’iscrizione in lingua etrusca e, ancora, all’individuazione e allo scavo di alcuni settori dell’abitato.
L’area sacra di Apollo, la cui scoperta, avvenuta in via Verdi, si deve a ricerche dirette da Luca Cerchiai, va considerata il santuario poliadico: lo suggerisce lo spazio aperto verso il quale si sviluppa e da interpretare come la «piazza» della città.
L’iscrizione in etrusco appena ricordata non deve sorprendere, non è isolata, anzi tutt’altro: gli archeologi ne hanno rinvenute complessivamente 150 durante le loro indagini e sono databili tra il VII e il IV secolo a.C. In una, incisa su un calice rinvenuto all’interno della ricca sepoltura di una bambina, si ricorda il nome della famiglia Rasunie, che deriva dall’appellativo Rasenna con il quale gli Etruschi si definivano.
Nella zona, infatti, sino all’arrivo dei Sanniti e poi dei Romani, erano insediati gli Etruschi: Pontecagnano era uno dei centri principali della cosiddetta Etruria campana che comprendeva il territorio di Capua e quello che per noi è il salernitano. Era tutt’altro che una zona d’interesse secondario: in queste terre l’incontro/scontro con il mondo greco, uno dei fili conduttori della storia etrusca, era ravvicinato: le due civiltà erano a contatto diretto.
Di tutto questo ho parlato a lungo con Carmine Pellegrino (Università degli Studi di Salerno) che, in collaborazione con Mariassunta Cuozzo (Università degli Studi del Molise), sta portando avanti le ricerche nell’area del parco archeologico, e con Serena De Caro (Direzione Regionale Musei Campania) che ha responsabilità sia del parco che del museo.
Stanno preparando la nuova campagna di scavo che si concentrerà nell’area centrale della città per verificare se il suo assetto urbanistico corrisponde a quello delle aree periferiche, ove hanno riscontrato già la presenza di isolati abitativi divisi da strade distanziate 46 metri l’una dall’altra.
L’impianto urbanistico regolare dovrebbe risalire agli inizi del V secolo a.C. e testimoniare un potere centrale in grado di emanare un «piano regolatore» e farlo rispettare. Contemporaneamente il mutamento profondo del paesaggio urbano rinvierebbe a un cambiamento altrettanto profondo nella società e all’affermarsi di nuovi assetti sociali e di potere.
Un impianto che venne rispettato nella sostanza in età sannitica e durante quella romana, ma in quest’ultima con una riduzione dell’estensione dell’abitato nonostante che i Romani vi avessero fondato una colonia, Picentia, nel 268 a.C., cinque anni dopo di quella di Paestum.
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