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Stéphane Verger

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Stéphane Verger

Verger dice addio a Roma

«Amarezza per le cose immaginate, progettate e in corso di realizzazione che non potrò seguire»: così dice Stéphane Verger non confermato alla direzione del Museo Nazionale Romano: «Dall’esterno non si percepisce la difficoltà di gestire il patrimonio culturale italiano: è vastissimo e fragile, e necessita di una cura costante»

«Un giorno di amarezza per le cose immaginate, progettate e in corso di realizzazione che non potrò seguire». Così Stéphane Verger (Soyaux, 1965) commenta, a caldo, la notizia del mancato rinnovo alla direzione del Museo Nazionale Romano. Una notizia inaspettata perché dal novembre del 2020, nei quattro anni alla guida di Crypta Balbi, Palazzo Altemps, Palazzo Massimo e Terme di Diocleziano (i siti che costituiscono il complesso del Mnr, il Museo Nazionale Romano) l’archeologo francese ha portato avanti, con risultati apprezzati da molti, un programma complesso, fatto di restauri, apertura di spazi inediti, mostre, progetti di arte contemporanea.

Dottor Verger, può tracciare un bilancio della sua direzione?
Tutto il mio lavoro è stato improntato sull’esigenza di tutela di collezioni ed edifici, e sulla migliore fruizione degli spazi delle quattro sedi del museo. Con l’obiettivo di rendere più coerente il percorso museale complessivo. È stato un compito impegnativo anche per le condizioni non ottimali, prima con il Covid-19, poi per la carenza di personale tecnico e amministrativo. Da una parte c’era uno stanziamento molto ridotto per il funzionamento generale dei quattro musei, anche a causa del rincaro dell’energia; dall’altra c’è stata l’opportunità offerta dal programma «Urbs, dalla città alla campagna romana», finanziato dal Programma Nazionale per gli investimenti Complementari al Pnrr, che ha però comportato un lavoro enorme da affrontare con personale sotto organico. Il numero degli architetti, ad esempio, è la metà di quanto previsto.

I lavori presso la Crypta Balbi, attualmente in corso, hanno costituito certamente il cuore della sua direzione. Un progetto così articolato e dagli sviluppi rilevanti, tanto da essere citato dal ministro Giuli nel suo discorso programmatico.
Ciò che il ministro ha illustrato è la mia idea progettuale, che avevo da subito proposto e che è stata accolta per i finanziamenti del Pnrr. La Crypta Balbi si configurerà non solo come un grande museo della stratificazione di Roma, dall’antichità fino all’epoca attuale ma, da luogo pericolante e pericoloso, lasciato per anni all’abbandono, diverrà anche un vero e proprio quartiere culturale aperto alla città. Spero che ora i lavori proseguiranno: si deve andare avanti e sarà necessaria un’attenzione a lungo termine. Penso che l’intero sistema del Mnr abbia bisogno di continuità sulla lunga durata.

Quali sono stati, a suo parere, i progetti principali della sua direzione?
Oltre alla Crypta Balbi, ho voluto lavorare alla valorizzazione di Palazzo Altemps, una sede meravigliosa, non conosciuta quanto merita. Qui sono state restaurate l’altana e la Sala del Gioiello, un luogo, questo, assolutamente inedito, di fondazione cinquecentesca e ristrutturato nel Novecento. Sempre per Palazzo Altemps, che possiede una magnifica collezione, avevo immaginato un allestimento maggiormente didattico. Alle Terme di Diocleziano, invece, abbiamo riaperto, dopo molti anni, l’entrata storica e le Grandi Aule. Poi ci sono stati i numerosi progetti espositivi, penso in particolare a due mostre: «Vita dulcis» di Francesco Vezzoli a Palaexpo e «L’istante e l’eternità» alle Terme di Diocleziano, che hanno presentato modi diversi di avvicinare il pubblico all’antichità. «L’istante e l’eternità», in maniera più classica, ha ricordato la lunga e complessa strada della cultura greco romana; «Vita dulcis» ha invece mostrato le collezioni dei depositi del Mnr nel contesto dell’estetica e del pensiero di Vezzoli. Penso poi anche alla mostra di Massimiliano Pelletti a Palazzo Massimo, con le sue pietre che sembrano non finite, oppure distrutte dal tempo. Infine c’è l’ultima mostra da me cocurata, con Sergio Risaliti, da poco inaugurata presso le Terme di Diocleziano: «Tony Cragg. Infinite forme e bellissime». Le sue opere monumentali, presentate all’interno delle Grandi Aule delle Terme, ci appaiono come organismi fossili di un altro universo. È anche questo un modo di far parlare gli spazi dell’antichità.

Cosa pensa di aver lasciato al Mnr, e quali sono i suoi progetti futuri?
Spero di aver contribuito a ridare nuova vita al Museo, e di avere offerto anche una riflessione su cosa debbano essere questi spazi. Il lavoro svolto sulle collezioni e sui percorsi è una parte molto piccola di quanto fatto. Sono musei dalla gestione complessa, con impianti obsoleti che, dove possibile, sono stati tutti sostituiti. Dall’esterno non si percepisce la difficoltà di gestire le emergenze quotidiane, ma la questione centrale del patrimonio culturale italiano è che è vastissimo e fragile, necessita di una cura costante. Quanto a me, sono tornato a Parigi, alla mia università, l’École Pratique des Hautes Études, un ateneo di eccellenza. Ho ripreso i miei studi sulle relazioni fra culture greche, romane, etrusche, mediterranee, e le culture protostoriche dell’Europa centrale. Provo un sentimento ambivalente: mi dispiace non poter arrivare alla conclusione di quanto intrapreso ma, dall’altra parte, sono felice di tornare alla ricerca scientifica e all’insegnamento.

Arianna Antoniutti, 18 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

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