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Veronica Rodenigo
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Si è concluso con il finissage di domenica 23 novembre «Opera Aperta», il progetto del Padiglione della Santa Sede (a cura di Marina Otero Verzier e Giovanna Zabotti) presso il Complesso di Santa Maria Ausiliatrice, menzione speciale alla 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia.
Un’operazione basata sui concetti di cura e riparazione, un cantiere di socialità come è stato definito, che da maggio a novembre ha permesso a pubblico e comunità l’accesso di una parte del complesso (risalente al XII secolo) e la condivisione di una pluralità d’iniziative (tra cui il programma Tavola Aperta, momento di convivialità comune), incluse visite guidate e workshop dedicati al cantiere di restauro che ha interessato l’altare dell’ex cappella ad opera della ditta veneziana Lares.
384 i partecipanti alle esperienze di restauro, 32 le associazioni che hanno aderito al programma, 15 i mediatori dell’Università Ca’ Foscari, 20 i ragazzi di Iusve (Istituto Universitario Salesiano di Venezia) coinvolti nella comunicazione e un numero imprecisato di «musicisti spontanei», ci racconta la curatrice Giovanna Zabotti, che si sono poi fermati a usufruire degli strumenti musicali dislocati in diversi punti.
«Questo spazio architettonico, una volta aperto alle persone, ha cominciato a respirare in maniera completamente diversa, puntualizza la curatrice. Nel corso di questa iniziativa, mi sono resa conto di quanto l’architettura e l’uomo siano fondamentali l’una per l’altro».
Perché la riappropriazione di questi spazi, da parte della comunità locale, unitamente alla partecipazione a un work in progress attraverso il cantiere di restauro sono stati tra gli elementi più significativi della proposta elaborata per il Padiglione e del suo massaggio ecumenico.
Una veduta interna della sede del Padiglione della Santa Sede durante la 19. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Photo: Vatican Pavilion Press, José Hevia
Un ponteggio appositamente pensato anche per i visitatori ha consentito di poter ammirare da vicino le lavorazioni in atto sull’altare settecentesco, specificano la restauratrice Elisabetta Ghittino e Andrea Alberto Cherido (Lares restauri) consentendo la sensibilizzazione verso la cura del bene.Tra le cause più evidenti del degrado: le efflorescenze saline dovute al grado di umidità elevata (che raggiunge circa un metro e mezzo di risalita) aggravata dalla presenza di malte cementizie sulle pareti circostanti che hanno contribuito a peggiorare la situazione. Le efflorescenze, una volta cristallizzate, portano difatti a perdita di materiali, polverizzazione, disgregazioni e distacchi. La parte più ammalorata: quella basamentale, in marmo di Carrara così come le due statue (rappresentanti la Fede e la Carità) e il timpano. Le due colonne laterali, rivestite da piccole lastre in marmo Fior di Pesco, presentavano distacchi in diversi punti. Altre problematiche: i depositi coerenti diffusi su tutto il manufatto e alcuni trattamenti protettivi e consolidanti dati in precedenza che nel tempo hanno causato un ingrigimento delle superfici.
Gli interventi hanno interessato quindi il preconsolidamento dei materiali (a seconda della loro tipologia), la rimozione dei sali e una stabilizzazione. Durata dell’effetto? «Non è né univoca né definitiva, precisano Ghittino e Cherido, varia a seconda di diversi fattori (temperatura e stagionalità) e a seconda dei materiali. In futuro il monitoraggio e la manutenzione ciclica saranno essenziali: la committenza è stata estremamente ricettiva nei confronti delle necessità del bene e in merito a questo aspetto». In seguito si è proceduto al consolidamento anche attraverso malte colloidali, alla pulitura, ad integrazioni di acquerello di parti di rifacimento in finto marmo e alla stesura di un film protettivo ove necessario.
«Il cantiere è sempre rimasto accessibile al pubblico e le visite guidate sui ponteggi sono state strutturate previa prenotazione. Per noi è stata importantissima la comunicazione del progetto di restauro e comunicare la complessità delle varie fasi, aggiungono ancora i due referenti di Lares. La stessa comunità veneziana ha potuto prender parte a questo intervento e magari potrà usufruirne in futuro Questo aspetto, unito alla cura continuativa del bene in precedenza chiuso e quasi dimenticato ha pienamente incarnato il messaggio stesso di Opera Aperta».
Ora il complesso di proprietà del Comune, rimarrà in gestione al Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede fino al 2028. L’intento è quello di proseguire con successivi interventi di restauro sia per la cappella, sia per gli ambiti resi accessibili in questi ultimi sette mesi. Intanto la narrazione di questa singolare esperienza (di cui è main partner Intesa Sanpaolo) è restituita dal catalogo Opera Aperta: la riparazione come atto (Allemandi editore) contenente, fra gli altri, saggi e contributi di Papa Francesco, cardinale José Tolentino de Mendonça, Umberto Eco.
Una veduta interna della sede del Padiglione della Santa Sede durante la 19. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Photo: Marco Cremascoli
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