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Coperchio del sarcofago della regina Ahhotep II, fine della XVII inizio XVIII Dinastia, Regno di Ahmose I

Photo © Massimo Listri

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Coperchio del sarcofago della regina Ahhotep II, fine della XVII inizio XVIII Dinastia, Regno di Ahmose I

Photo © Massimo Listri

Un’immagine quanto più completa e corretta della civiltà faraonica alle Scuderie del Quirinale

La grande mostra romana riunisce 130 oggetti: «Ho cercato di mostrare quella che per noi egittologi egiziani è l’essenza della civiltà faraonica, ovverosia la ferma fede in un’esistenza ultraterrena», racconta il curatore Tarek el-Awady

Francesco Tiradritti

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Oltre a essere il curatore della mostra «Tesori dei Faraoni» (catalogo Allemandi, main Sponsor Intesa Sanpaolo ed Eni), in corso alle Scuderie del Quirinale fino al 3 maggio 2026, Tarek el-Awady è un archeologo che sente forte il richiamo dello scavo ed è per questo che mi ha invitato a visitare il cantiere che dirige nel luogo dove un tempo sorgeva il tempio a valle di Hatshepsut. Arrivo al momento della colazione che è a base delle semplici e saporite delizie della cucina popolare egiziana. Tareq mi mostra poi con entusiasmo le ultime scoperte, tra le quali una pentola in bronzo di mirabile fattura e un rozzo mestolo di legno. È tutto quello che rimane di un pasto funerario consumato oltre 2mila anni fa e Tarek si emoziona mostrandomi le tracce del fuoco sul fondo del recipiente. Dopo avere conseguito un dottorato in Egittologia presso l’Università Carolina di Praga, Tarek el-Awady ha diretto il Museo Egizio del Cairo dal 2010 al 2012, in uno dei momenti più difficili nella storia dell’Egitto recente. In seguito ha ricoperto la medesima carica presso il museo di antichità della Bibliotheca Alexandrina, per poi dedicarsi completamente alla ricerca sul campo in vari siti dell’Egitto. Ha al suo attivo l’organizzazione di varie mostre, tra le quali figura «Tutankhamon. Treasures of the Golden Pharaoh» che ha riscosso ampi consensi in varie parti del mondo. L’abbiamo intervistato.

Come nasce «Tesori dei faraoni»?
È una mostra che le Scuderie del Quirinale avevano chiesto al professor Zahi Hawass ed è stato lui a fare il mio nome come curatore. Ho accettato con piacere e ho pensato a qualcosa che potesse incontrare il favore del pubblico italiano. Il fatto che dovesse aprirsi a Roma rappresentava una sfida poiché mi trovavo a confrontarmi con un pubblico abituato a una bellezza secolare e circondato da opere d’arte straordinarie. Da qui la decisione di selezionare una serie di oggetti, che alla fine hanno raggiunto il numero di 130, che non sfigurassero con la magnificenza dei monumenti della Città Eterna. 

Qual è l’idea alla base della mostra?
Dovendomi mantenere su un discorso generale, ho deciso di presentare al pubblico italiano un quadro quanto più ampio possibile della civiltà egizia che descrivesse non soltanto la figura del sovrano, ma anche quella dei funzionari e, malgrado sia molto difficile, anche il quotidiano della gente più umile. Questo sono riuscito a raccontarlo attraverso i 20 oggetti provenienti dalle ricerche del professor Zahi Hawass nella cosiddetta «Città d’oro». Credo che sia la prima volta che reperti appena usciti da uno scavo egiziano vengono esposti al pubblico. Spero così di essere riuscito a restituire un’immagine quanto più completa e corretta possibile della civiltà faraonica. 

La concomitanza della mostra con l’apertura del Grand Egyptian Museum ha creato problemi nella selezione degli oggetti?
Il Gem ha aperto pochi giorni dopo l’inaugurazione e, ovviamente, non potevo tenere conto di quello che vi è esposto. Così, mi sono concentrato sulle collezioni del Museo Egizio del Cairo, del Museo di Arte Antica di Luxor e, come ho già detto, sui reperti della «Città d’oro».

Una sala della mostra «Tesori dei faraoni» nelle Scuderie del Quirinale a Roma. Photo: Monkeys Video Lab

Si può dire che è una mostra che descrive l’antico Egitto dalla prospettiva di un egiziano moderno?
Sì. Ho cercato di mostrare quella che per noi egittologi egiziani è l’essenza della civiltà faraonica, ovverosia la ferma fede in un’esistenza ultraterrena. Questo concetto è strettamente legato con la predilezione per l’oro. Da qui la mostra. Non ho inteso tanto porre in risalto l’opulenza della cultura egizia, quanto piuttosto riaffermare quanto i miei antenati fossero convinti che esiste qualcosa oltre la morte. L’ho scritto nella mia introduzione. Non apprezzavano l’oro per il valore intrinseco, ma perché inalterabile e, in quanto tale, simbolo perfetto di eternità. Secondo la prospettiva egizia l’essere umano vive all’interno di un ciclo di eterno ritorno, come quello del Sole, oppure come quello dell’inondazione del Nilo.

Questo interesse per la vita eterna si riflette anche nel percorso espositivo?
È il punto di partenza della mostra, che però si sviluppa descrivendo prima il sovrano, poi i funzionari e infine gli altri sudditi. Ho voluto tenere da ultima, e separata dalle credenze oltremondane, la religione intesa in quanto culto dedicato alle divinità. Troppo spesso, a mio avviso, si tende a confonderla con i riti funerari. A conclusione del percorso ho voluto la maschera funeraria di Amenemope, uno dei sovrani le cui tombe sono state trovate intatte sul sito di Tanis. Ho riproposto la figura del faraone perché desidero che il visitatore lasci la mostra con un’immagine iconica della civiltà egizia.  

Com’è stato lavorare in Italia?
Mi sono trovato molto bene e il personale della Scuderie del Quirinale ha una comprovata esperienza, che ha consentito di ottenere un risultato eccellente e che rispecchia in pieno il mio progetto iniziale. Ho molto apprezzato la possibilità di collocare le opere in spazi in cui il visitatore le può ammirare nella loro interezza. Questo risultato mi ha consentito, per esempio, di esporre la statua di Sennefer e della sposa Meryt a qualche metro dalla parete retrostante. Al Museo Egizio del Cairo si trova addossata al muro e non è perciò possibile ammirare la magnifica iscrizione geroglifica incisa nella parte posteriore. In altri casi abbiamo forzato il visitatore a osservare un determinato reperto da un’unica prospettiva corrispondente a quella prevista dagli ignoti artisti in antico.

Nell’allestimento si è dedicata estrema attenzione all’illuminazione. 
Vero. Abbiamo privilegiato la piena visibilità di ogni oggetto evitando di lasciarli nella semioscurità, come spesso accade nelle mostre sull’antico Egitto. Nel caso del coperchio del sarcofago della regina Ahhotep abbiamo invece concentrato la luce per ottenere un effetto particolare. È esposto nella prima sala al centro della parete opposta a quella d’ingresso e desideravo che risultasse come se stesse emergendo dall’oscurità. Ho chiesto ai tecnici di concentrare la luce sul reperto lasciando tutto quello che lo circonda nel buio quasi totale. Il risultato è eccezionale perché la doratura esterna del coperchio appare come se brillasse di luce propria.

Qual è l’oggetto in mostra che preferisce e perché? 
Questa è davvero difficile perché stiamo parlando di 130 reperti che ho selezionato uno per uno con estrema cura. Ognuno di essi riveste un significato particolare per me. Se però devo, allora scelgo proprio il coperchio di Ahhotep. Non soltanto per la sua bellezza formale o per il suo sguardo rivolto all’eterno, ma anche per la particolare storia della sua scoperta. Il corredo funerario della regina, di cui fa anche parte la collana con le tre mosche d’oro che sono riuscito a portare a Roma, fu prima trafugato e poi trasportato al Cairo, dove divenne il primo tesoro a essere esposto nel Museo di Boulaq appena inaugurato. Per me, tutto questo rende il coperchio di Ahhotep un reperto quintessenziale della civiltà egizia ed è per questo che lo prediligo, anche se soltanto di misura, agli altri capolavori in mostra.

Una sala della mostra «Tesori dei faraoni» nelle Scuderie del Quirinale a Roma. Photo: Monkeys Video Lab

Francesco Tiradritti, 24 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

Un’immagine quanto più completa e corretta della civiltà faraonica alle Scuderie del Quirinale | Francesco Tiradritti

Un’immagine quanto più completa e corretta della civiltà faraonica alle Scuderie del Quirinale | Francesco Tiradritti