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Nicola Davide Angerame
Leggi i suoi articoliSir Anthony Douglas Cragg è una delle voci più originali della scultura contemporanea. Da mezzo secolo trasforma materiali e forme in organismi visivi capaci di mettere in discussione il nostro rapporto con gli oggetti e con il paesaggio. Nato a Liverpool nel 1949, nel 1966 lavora come biomedico e disegna nel tempo libero. Due anni dopo intraprende gli studi d’arte alla Wimbledon College of Arts e poi al Royal College of Art di Londra. Nel 1977 si trasferisce a Wuppertal, in Germania, dove sviluppa un linguaggio scultoreo fondato su assemblaggi, stratificazioni e trasformazioni continue. La sua prima mostra è alla Lisson Gallery nel 1979, nove anni dopo la consacrazione internazionale: una menzione speciale alla Biennale di Venezia e il Turner Prize. Parallelamente porta avanti un’intensa attività accademica, insegnando a Düsseldorf e Berlino fino a diventare, nel 2009, rettore dell’Accademia d’Arte di Düsseldorf. Le sue opere storiche e recenti sono ora esposte nella nuova mostra che celebra mezzo secolo di collaborazione e amicizia con la galleria Tucci Russo a Torre Pellice. La ricerca di Cragg si articola in costellazioni coerenti di lavori che, nel tempo, approfondiscono un’unica intuizione centrale: la materia è un organismo in movimento. Già negli Stack (iniziati nel 1975 e ripresi in modo monumentale nei 2000) la forma nasce dalla stratificazione dinamica di elementi eterogenei, come se la scultura fosse una sezione geologica della civiltà industriale. Ogni oggetto accatastato registra un gesto, un passaggio, una traiettoria. Con Early Forms, dalla fine degli anni ’80, la metamorfosi si fa più radicale. Partendo da contenitori quotidiani, Cragg li fa ruotare, torcere, slittare nello spazio fino a generare volumi che sembrano crescere come cellule o organi. È qui che il movimento diventa principio generativo e si svilupperà in senso antropomorfo in Rational Beings, la fortunata serie nata nei primi anni ’90 in cui colonne composite, costruite per sovrapposizioni di sezioni, rivelano profili che emergono e scompaiono. L’identità è un processo, non un’essenza fissa. A metà dei 2000, Cragg ribalta il concetto e le sculture orizzontali dei Mental Landscapes appaiono come attraversati da pulsazioni interne, come se pensiero ed energia modellassero il volume. Le serie sono ben più numerose, ma in tutte si riconosce comunque una poetica unitaria che vede la scultura come espressione di flusso vitale, una forma che pensa e si muove, instancabilmente.
Iniziamo dal principio, che cos’è per lei la scultura?
Ciò che faccio da cinquantacinque anni. Per tutto il XIX secolo, in Europa, la scultura era quasi interamente figurativa, poi sono arrivate l’astrazione, nuove maniere di rappresentare il corpo, la libertà dall'anatomia. Nuove esigenze formali, psicologiche e concettuali che hanno aperto molte possibilità. Dalla seconda metà del Novecento, gli artisti hanno esplorato una quantità enorme di materiali e oggetti. Che tu stia seduto qui sulla sedia, tra gli arredi, a parlare e a osservare altre persone, oppure che tu sia nel paesaggio o nella natura, tutto ha un significato scultoreo. La scultura studia ormai tutti i materiali e tutti gli oggetti del nostro ambiente per capirne il significato emotivo. Molti fatti che ci circondano non hanno con noi una relazione forte; se ti dico che siamo in un multiverso o ti parlo delle tante meraviglie della fisica quantistica, concetti molto interessanti ma molto intellettuali, forse la tua reazione non sarà così forte come quando, per esempio, giochi con i tuoi figli. Penso che la scultura riguardi questo dare significato alle cose a noi più vicine, fornendoci sempre nuove forme, emozioni e idee. E, cosa molto importante, procurandoci un linguaggio nuovo con cui pensarle.
Com’è cambiato il suo rapporto con la materia, dalle opere giovanili della serie Stack fino a serie come Early Forms o Rational Beings?
La scultura in senso storico non mi è mai interessata. Da giovane, negli anni Sessanta, ero attratto dai materiali, dalle emozioni e dai significati che potevo ricavarne. Ero uno studente povero, e in quegli anni, con movimenti come l’Arte Povera o la Pop Art, tanti artisti guardavano agli oggetti del mondo quotidiano. Anch’io cominciai così. Poi, lavorando, mi accorsi sempre più che i materiali industriali avevano forme semplici, ripetitive, economicamente facili da produrre, erano geometrie basilari che, dopo un po’, risultavano noiose. La natura invece è all’estremo opposto: complessa, sorprendente. Il mio lavoro è nato tra questi due mondi, fra ciò che l’industria crea e ciò che la natura genera.
Dettaglio di Tony Cragg, «Mental Landscape», 2007. Photo by Charles Duprat
Tony Cragg, «Mental Landscape», 2007. Photo by Michael Richter
Vorrei entrare nel suo processo creativo: come nasce una sua scultura? Usa un metodo ricorrente?
Chi come me lavora da tanto tempo porta con sé l’esperienza dei lavori precedenti. La forma e il significato delle sculture che ha appena completato restano nella mente e la scultura successiva è sempre una reazione a ciò che ha fatto prima. Comincio dal disegno, è una disciplina straordinaria, con un semplice pezzo di grafite puoi scoprire mondi di forme e di significati. Se nel disegno trovo qualcosa che mi interessa, realizzo piccoli modelli e se anche questi hanno una promessa emotiva o formale, allora passo alle opere più grandi. Spesso mi chiedono da dove vengano le idee, ma non sono sicuro che le idee aiutino molto a fare arte. Ci sono tantissime ottime idee che generano arte terribile.
Lei disegna moltissimo. Che posto ha il disegno nel processo creativo?
È simile alla scrittura. Tu sei uno scrittore, conosci il momento in cui sai cosa vuoi dire ma non hai ancora le parole giuste. Quindi scrivi una frase, poi la cambi, trovi un termine migliore, modifichi la struttura. Alla fine la frase è molto diversa dall’idea iniziale, è diventata più forte, più vera. Questo è poiesis, è poesia, è quando scrivi in modo creativo e tutto ciò che hai fatto è usare un po’ di matita su un foglio di carta o, un computer: è comunque una relazione con i materiali. Esprimi i tuoi pensieri attraverso un materiale esterno alla tua mente per trovare delle forme ed è ciò che fa qualunque persona creativa. E' come pensare attraverso la materia ed è ciò che fanno anche matematici o musicisti. Se osservi un matematico al lavoro, lo vedi lì seduto a scarabocchiare, a scrivere continuamente, o a martellare sulla tastiera del computer. Sempre. E se ascolti un musicista, lo senti far vibrare l’aria, muoverla, finché, tra le milioni di possibilità che ha nel comporre una melodia, non trova quella giusta, perché ha per lui un significato emotivo. Il processo creativo è questo: far emergere forme e significati fuori dalla mente, in un dialogo con la materia.
In un’epoca digitale, con l’IA e i software generativi, che cosa può ancora offrire la scultura?
Non uso l’IA e non so se avrà effetti positivi o negativi. Se potesse aiutare i politici a calcolare quanto cibo produrre, dove distribuirlo, come proteggere l’ambiente, sarebbe fantastico. Ma l’arte è la cosa più umana che esista. Voglio dire, non so se vogliamo davvero lasciare che un computer crei sia l’umano sia l’arte. A volte capita che qualcuno mostri un dipinto fatto da uno scimpanzé e dichiari che sembra il lavoro di qualche artista che hanno in mente, ma quasiasi cosa faccia uno scimpanzé l’arte resta la cosa più umana che abbiamo, esprime la nostra stessa esistenza. Non credo che altre entità sentano lo stesso nostro desiderio di esprimere la propria esistenza attraverso l'arte. Certamente, la tecnologia mi è utile per produrre stampi, per fare scansioni, per diminuire gli sprechi, ma generare arte con un computer è un'altra cosa. Non ho ancora visto qualcosa che mi convinca. Forse perché sono un uomo anziano o forse perché non credo che l’industria possa produrre significato umano. Il mio lavoro si basa su tre cose semplici: osservazione, riflessione e il problema, bellissimo, di come realizzare ciò che ho capito. Non rinuncerei mai a questo.
Tony Cragg, «Early Forms», 1988. Photo by Jörg Sasse. Courtesy of Jörg Richter
Tony Cragg, «Early Form», 1993. Courtesy of Charles Duprat
Lei si definisce un «materialista radicale». Quanto contano le mani nel suo lavoro?
Tutto. Lavoro con le mani ogni giorno. Disegno, scolpisco, modifico. E quando cambio il materiale, ogni piccolo cambiamento genera una nuova reazione: un nuovo pensiero, una nuova emozione. Molto spesso sento che sono i materiali a cambiare me, non il contrario. Nella vita quotidiana avviene la stessa cosa: tutto influisce su di noi: colori, forme, suoni, temperatura. È un flusso continuo di informazioni materiali. Per me, questa è la scultura.
Ha partecipato con una personale alla mostra celebrativa dei 50 anni della galleria di Lisa e Tucci Russo, che purtroppo non è più con noi. Che cosa hanno rappresentato per lei?
Poco fa parlavamo di «materialismo radicale». Per me significa riconoscere la meraviglia dell’esistenza. Sono ossessionato, nel senso più positivo, dal fatto di esistere, dall’essere una creatura intelligente. È un miracolo. Molte persone trascorrono la vita a guadagnare beni materiali per vivere, ma il materiale fondamentale dell’arte è l’essere umano: il nostro cervello crea colori, forme, linguaggi. Senza di noi non c’è nulla. Tucci e Lisa lo capivano profondamente e credevano che l’arte potesse cambiare la vita delle persone. Per questo considero un onore aver lavorato con loro e continuare a farlo.
Non è facile oggi mantenere rapporti così longevi con le gallerie.
Il mercato è cambiato, certo, ma io ho rapporti duraturi. Sono alla Lisson Gallery dal 1974, da Marian Goodman dal 1979. Con Tucci e Lisa ho iniziato alla fine degli anni Settanta. Non ho mai avuto motivo per cambiare.
Qual è il suo segreto?
Nessun segreto, solo una grande passione per l’esistenza. Molti sprecano la loro energia in credenze inutili, ma io credo nella consapevolezza di essere vivi, in ogni minuto. È la scultura che me lo ha insegnato.
Tony Cragg, «Stack», 2019. Photo by Michael Richter
Tony Cragg, «Stack», 2018. Photo by Michael Richter
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