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Rebecca Horn, «Cutting Through the Past» (Tagliando attraverso il passato), 1992-93, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea

Courtesy of Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino. Gift Fondazione Marco Rivetti. Photo: Paolo Pellion di Persano

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Rebecca Horn, «Cutting Through the Past» (Tagliando attraverso il passato), 1992-93, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea

Courtesy of Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino. Gift Fondazione Marco Rivetti. Photo: Paolo Pellion di Persano

Rebecca Horn circolare e spirituale

Nel Castello di Rivoli la prima retrospettiva museale in Italia e la prima senza l’artista: oltre alle installazioni, la curatrice Marcella Beccaria ha voluto «guardare al disegno, quale pratica che attraversa l’intera sua storia, nella quale inizio e fine coincidono»

Dal 23 maggio al 21 settembre la Manica Lunga del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea (Rivoli, Torino) ospita «Rebecca Horn. Cutting Through the Past», un’ampia retrospettiva dell’artista tedesca scomparsa lo scorso settembre all’età di 80 anni. Il progetto, a cura di Marcella Beccaria, nasce da una cooperazione con la Haus der Kunst di Monaco di Baviera e presenta installazioni, film, sculture, video e disegni che attraversano l’intera carriera di Rebecca Horn, con importanti prestiti di lavori raramente esposti provenienti dalla Moontower Foundation. Una selezione di opere è allestita anche all’interno della Villa Cerruti, e nelle giornate del 24 e 25 maggio, in sintonia con Exposed Torino Foto Festival, il Teatro del Castello ospita una serie di proiezioni dei film dell’artista. Inoltre, la sera del 22 maggio, durante l’inaugurazione della mostra, la Luce d’Artista «Piccoli Spiriti Blu», sul Monte dei Cappuccini di Torino, viene accesa per commemorare il lungo rapporto di Rebecca Horn con la Città. Abbiamo incontrato la curatrice Marcella Beccaria. 

Perché è importante una mostra di Rebecca Horn oggi?
«Rebecca Horn. Cutting Through the Past» è la prima retrospettiva in un’istituzione museale in Italia. È anche la prima a essere organizzata dopo la recente scomparsa dell’artista. È importante guardare alla rilevanza della sua eredità e farlo dalla prospettiva del presente. Il lavoro di Rebecca Horn è estremamente importante, soprattutto quando messo in relazione con la cultura attuale e le nuove generazioni di artiste e artisti. Il suo lavoro con le macchine cinetiche per molti versi ha anticipato alcune tematiche e tratti fondamentali del pensiero contemporaneo: penso alle attuali teorie, a partire dal femminismo multispecie di Donna Haraway, oppure alle riflessioni filosofiche e sociologiche che riguardano l’influenza della tecnologia sui nostri comportamenti, senza dimenticare i nuovi orizzonti che si vanno delineando con tecnologie che manifestano atteggiamenti assimilabili alle emozioni umane. Oltre a tutto questo, non va dimenticato che Horn è stata anche un’artista che ha scritto importanti capitoli nella storia della performance con azioni ormai iconiche, penso alla figura della donna-unicorno o della donna che indossa grandi ali. È stata anche una delle prime artiste ad affrontare il linguaggio cinematografico, realizzando veri e propri film con attori professionisti. Horn ha manifestato la capacità, propria dei grandi artisti, di piegare le tecniche e i linguaggi alla propria volontà, usandoli per aprire nuovi e molteplici campi di ricerca. Fare una mostra di Horn oggi significa riconoscere tutto questo.   

Il progetto è frutto di una cooperazione istituzionale tra Castello di Rivoli e Haus der Kunst. Quanto della mostra di Monaco vedremo a Rivoli?
Sono due mostre diverse. Nella mostra di Monaco del 2024, Jana Baumann, che ha curato il progetto, ha insistito sull’aspetto performativo, direi quasi fisico-spaziale relativo alla ricerca di Horn. Con molta intelligenza Jana ha analizzato i modi in cui Horn ha immaginato e costruito coreografie, a partire dai primi video e i film in cui le macchine sono oggetti di scena, per arrivare poi alle grandi macchine cinetiche che diventano installazioni indipendenti. Nella mostra di Rivoli sono protagoniste importanti installazioni, ma ho voluto dare un taglio che, a partire da una riflessione sull’ultima fase di produzione dell’artista, riconosca soprattutto la dimensione spirituale ed energetica che accomuna molte sue opere. Ho voluto anche guardare al disegno, dagli esordi agli ultimi anni, quale pratica che attraversa l’intera storia dell’artista, diventando a sua volta performance, descrivendo una traiettoria circolare. 

Rebecca Horn, «Miroir du Lac», 2004. Courtesy of Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino. Foto: Paolo Pellion di Persano

In che modo ha gestito lo spazio della Manica Lunga per l’allestimento?
La mostra inizia con «Pfauenmaschine» (Macchina pavone), importante macchina cinetica del 1982, realizzata da Horn per quella edizione di documenta a Kassel. I movimenti di questa opera evocano quelli di un pavone in amore: è un’opera potente, che catapulta chi visita la mostra immediatamente dentro all’immaginario dell’artista. Poi, senza svelare l’intera mostra, posso dire che alla fine del percorso della Manica Lunga i visitatori troveranno un’installazione che si è vista raramente, «Das Rad der Zeit» (La ruota del tempo), in cui un ramo di albero, riprodotto in bronzo, ospita una sorta di nido cinetico fatto di aste dorate che con i loro movimenti formano una ruota. È un’opera sul concetto di rigenerazione, sulla possibilità di guardare al tempo non in senso lineare, come nella tradizione occidentale, ma in senso circolare, dove l’inizio e la fine non sono più opposti ma arrivano a coincidere. In mostra l’opera funzionerà proprio come punto di svolta che, stando alla fine della Manica e dopo appunto chiudere il percorso in una direzione, imprimerà con la sua energia un moto circolare, proponendo ai visitatori di ripercorrere lo spazio espositivo in senso opposto, rileggendo la mostra con una nuova consapevolezza. 

«Cutting Through the Past» (Tagliando attraverso il passato). Perché ha scelto proprio questo titolo?
Premesso che più volte l’artista ha usato titoli di sue opere per le sue mostre (e in questo volevo che si sentisse la sua voce), ho proposto questo titolo perché credo renda in maniera palpabile l’intenzione di progettare una retrospettiva che è uno sguardo attraverso questo amplissimo e denso passato che l’artista ci ha lasciato in oltre 50 anni di lavoro. L’idea di «tagliare attraverso il passato» trasmette bene la necessità di dare un certo punto di vista, compito che si impone contemplando un’eredità così impegnativa. 

La Moontower Foundation, ente che preserva la memoria dell’artista, ha avuto un importante ruolo nel progetto. 
Assolutamente sì. Al Castello la mostra avviene grazie alla Moontower Foundation e con Francesco Manacorda ringrazio Nick Serota e il board della fondazione per aver reso possibile la nostra mostra a Rivoli. Il loro ruolo è stato molteplice. Trattandosi della prima mostra realizzata senza l’artista, ho sentito la necessità di recarmi a Bad König, nella regione tedesca dell’Odenwald, il luogo in cui Rebecca Horn ha vissuto negli ultimi decenni e dove ha sede la fondazione. Di solito, quando lavoro a una mostra, trascorrere del tempo con l’artista e nel suo studio è per me un passaggio imprescindibile, direi quasi un rito. Qui, la situazione era purtroppo diversa, ma andare a Bad König è stata un’esperienza straordinaria. Grazie a Karin e Peter Weyrich, che hanno lavorato con l’artista per moltissimi anni, ho potuto studiare con calma i lavori, anche quelli meno esposti e soprattutto vedere quelli che l’artista amava tenere con sé. Vedere come Rebecca aveva organizzato i suoi spazi, la sua attenzione nei confronti dell’idea di trovare un centro, fissando punti energetici in quel luogo, mi ha portato a concentrarmi sull’aspetto profondamente spirituale della sua ricerca, una caratteristica meno analizzata, e che a mio avviso la lega profondamente all’Italia. Horn affermava che le sue macchine avessero una sorta di anima, un loro ciclo energetico vitale, e fossero imperfette, dopo un po’ si stancavano. Chi vedrà la mostra avvertirà i flussi di energia, un respiro di molteplici esseri che si muovono nello spazio espositivo.

Rebecca Horn, «Piccoli spiriti blu», 1999, Torino, chiesa di Santa Maria del Monte, Monte dei Cappuccini. Courtesy of Eredi Paolo Pellion di Persano. Foto: Paolo Pellion di Persano

Matteo Mottin, 16 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Rebecca Horn circolare e spirituale | Matteo Mottin

Rebecca Horn circolare e spirituale | Matteo Mottin