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Fabio Gori

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Fabio Gori

Quando Fabio Gori si sentì padrone del mondo

Chi era Fabio, morto a poco più di un anno di distanza dal padre Giuliano che aveva fondato la Fattoria di Celle

Laura Lombardi

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Figura ben nota nel mondo dell’imprenditoria e dell’arte, in particolare in Toscana, Fabio Gori era uno dei quattro figli dell’imprenditore, collezionista d’arte e mecenate Giuliano Gori (deceduto a 94 anni  nel gennaio dello scorso anno), che nel 1982 rese accessibile al pubblico la collezione d’arte ambientale allestita con la moglie Pina Taddei nella storica tenuta di Celle a Santomato di Pistoia che aveva acquistato nel 1969. Fabio, che era succeduto al padre alla presidenza della Fondazione Gori-Celle, era laureato in scienze economiche e dal 1974 lavorava con il fratello Paolo nell’azienda di famiglia, la Gori tessuti & casa, di cui dal 2007 era presidente. Sempre con il fratello Paolo, nel 2018 aveva creato Arte in Fabbrica, ovvero uno spazio adiacente all’azienda di famiglia adibito a esposizioni (Vittorio Corsini, Flavio Favelli e altri) e a concerti.

Cresciuto circondato da artisti, Fabio non aveva disgiunto l’impegno imprenditoriale dalla passione per l’arte che si esprimeva anche nella sua casa nel centro storico di Prato con pavimenti in marmo progettati da Sol LeWitt, un lucernario di Piero Dorazio, corrimani di Gianni Ruffi. In un’intervista rilasciata a Pietro Gaglianò per «Critical collecting» (curato da Antonio Grulli), ricordava: «Fin da piccolo ho vissuto a contatto con l’arte contemporanea grazie agli interessi di mio padre e quando lui mi chiedeva di accompagnarlo nello studio di un artista per me era una grande gioia, che si trattasse di Rinaldo Burattin o di Luciano Minguzzi, di Zoran Music come di Renato Guttuso. Ricordo tutte le conversazioni che ruotavano attorno a questa visione utopistica che è l’arte, mentre a scuola e con gli amici non se ne parlava mai. Era un mondo a parte e fantastico che mi attraeva moltissimo. La mia prima opera la ebbi nello studio di Music, mentre stavamo uscendo mi volle dedicare un piccolo acquarello: mi sentii padrone del mondo ».

Per Fabio, e per la moglie Virginia, essere collezionista «è sempre stato un viaggio in cui cercare e trovare corrono paralleli, un viaggio in cui ci confrontiamo e crediamo in alcuni artisti, che spesso incontriamo come inattese sorprese. Tanti di lui ricordano la disponibilità umana e il costante sorriso, e anche il coraggio nell’affrontare fino all’ultimo la malattia. Ma soprattutto l’amore per l’arte: «La bellezza dell’arte è nel trovare possibilità inattese. L’unico lavoro sensato in tutta la vita, fino alla fine, e di coltivare la propria crescita. Il rapporto con l’arte dà questa opportunità, senza questo, la raccolta, la collezione non ha molto senso».

 

 

 

 

 

Laura Lombardi, 05 agosto 2025 | © Riproduzione riservata

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