Facciata della nuova sede parigina con, in vetrina, particolare di «Senza titolo» (1958 circa) di Gio Ponti

Cortesia Maggiore g.a.m., sede di Parigi. Foto Cedric Canezza

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Facciata della nuova sede parigina con, in vetrina, particolare di «Senza titolo» (1958 circa) di Gio Ponti

Cortesia Maggiore g.a.m., sede di Parigi. Foto Cedric Canezza

Prima mostra parigina per Maggiore g.a.m.

Il percorso che inaugura il nuovo spazio nella capitale francese concilia la storia della galleria bolognese con il desiderio di unità delle arti caro a Gio Ponti 

«Angelo» (1954) di Fausto Melotti. Cortesia di Galleria d’Arte Maggiore g.a.m. Bologna | Paris | Venezia

Maggiore g.a.m., spazio fondato nel 1978 da Franco Calarota, scomparso a 79 anni due anni fa, con la moglie Roberta, ha recentemente aperto, al 208 del boulevard Saint Germain, nel settimo arrondissement, la sua prima sede espositiva permanente a Parigi. La galleria, oggi diretta da Alessia Calarota, in precedenza, aveva nella capitale francese uno studio di consulenza artistica aperto su appuntamento. «Ora, questa attività, spiega Calarota, è trasformata in uno spazio espositivo con apertura al pubblico regolare. Faremo qui due-tre mostre l’anno, a partire dalla presente realizzata in collaborazione con gli Archivi Gio Ponti. Per puro caso la rassegna che curo è in concomitanza con altre mostre in cui è protagonista il grande autore, quella al MIC di Faenza e quella, sempre qui a Parigi, di Yves Saint Laurent legata ai piatti della villa di Caracas di Anala e Armando Planchart, firmata da Ponti stesso e realizzata nel 1953-57». La rassegna che inaugura lo spazio parigino (fino al 31 luglio) si intitola «Gio Ponti. La maison à l’italienne, Giorgio Morandi, Massimo Campigli, Fausto Melotti con Lisa Ponti, e Salvatore Licitra» e riassume, in parte, la storia della galleria dei Calarota da un lato, con alcuni grandi lavori del ‘900 italiano affiancati a quelli di Gio Ponti (1891-1979), della figlia Lisa (1922-2019) e del nipote Salvatore Licitra, curatore dal 1996 dell’archivio dell’architetto e designer.

La curatrice ha citato però Villa Planchart perché l’idea della mostra della Maggiore deriva dalla realizzazione pratica di quanto Ponti scrisse nel primo editoriale per la rivista «Domus», dedicato a «La Casa all’Italiana». Questa avrebbe dovuto riunire in un unico progetto l’architettura, la manifattura, l’artigianato, l’industria e l’arte italiana. Così, lungo il percorso parigino si ammirano le creazioni dei connazionali voluti dal designer proprio all’interno della raccolta d’arte dei Planchart: alcuni Morandi («Morandi rifiuta il presente. Dipinge che non ha epoca», disse Gio Ponti del pittore bolognese), una serie di sculture in ottone e in ceramica, tra cui i rari «Cerchi» degli anni ’60 e il bassorilievo «Angelo» del 1954, di Melotti e i «Medaglioni» del 1962 di Campigli, cui si aggiungono esecuzioni su carta dello stesso Ponti e dei due familiari. Alla fine della visita, dunque, riecheggiano nella mente le parole espresse dall’architetto nel suo libro Amate l’architettura. L’architettura è un cristallo: «Si parla di unità delle arti: si vuole che nella architettura concorrano pittura e scultura in una “unità delle arti” (unità intesa come unione: unione intesa come assunto). Difficile ciò avvenga nella generazione dell’opera d’arte, tranne in casi di amicizia ideale fra architetto e pittore: così ideai l’atrio della Facoltà di lettere a Padova per le pareti affrescate da Campigli (Campigli dei pochi che hanno la vocazione per collaborare esattamente con alcuni architetti: è perfetto). Nel passato si attuò questa collaborazione? Si attuò soltanto che l’architettura ospitò la pittura».

 

Stefano Luppi, 09 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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Prima mostra parigina per Maggiore g.a.m. | Stefano Luppi

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