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Monica Trigona
Leggi i suoi articoliAll’interno di Artissima, la fiera torinese che da anni incarna la vitalità inquieta dell’arte contemporanea, prende forma un premio dal valore simbolico profondo: non un «semplice» riconoscimento ma un gesto che affonda le sue radici nella storia e si apre al futuro, celebrando quelle figure che, con lungimiranza e coraggio, hanno fatto dell’arte, attraverso la loro ricerca, un orizzonte estetico quanto una forma di responsabilità culturale.
Il Premio Diana Bracco – Imprenditrici ad Arte, nasce nel 2023 da un’iniziativa promossa dalla Fondazione Bracco, in collaborazione con la Fondazione Roberto De Silva e Diana Bracco di Milano. Il tributo, pensato per valorizzare la figura della gallerista come imprenditrice culturale, capace di coniugare strategia e passione, crescita economica e indagine artistica, con uno sguardo sempre rivolto al nuovo, anche quest’anno si avvale di una giuria d’eccezione che selezionerà la gallerista donna emergente, italiana o straniera, la cui attività abbia almeno una sede in Italia e il cui percorso imprenditoriale si distingua per l’attenzione alla qualità curatoriale e al sostegno dei giovani artisti. Alla vincitrice sarà assegnato un contributo di 10mila euro, destinato a rafforzare il suo progetto imprenditoriale e a farne un modello ispiratore per le nuove generazioni di dealer. In linea con l’impegno della Fondazione Bracco nella promozione del merito femminile, il Premio si inserisce all’interno di “Imprenditrici ad Arte”, un più ampio percorso di riflessione sulla presenza delle donne nell’arte, sviluppato in collaborazione con Il Giornale dell’Arte. Le interviste ai giurati, alla vincitrice del premio 2025 e all’ispiratrice dello stesso, Diana Bracco, presidentessa e CEO del Gruppo Bracco, nonché presidente di Fondazione Bracco, che racconteranno storie imprenditoriali di passione e di ricerca, verranno ospitate sui social de «Il Giornale dell’Arte» e di Artissima. La giuria dell’edizione 2025 è composta da Elisabetta Barisoni, dirigente Area Musei di Ca’ Pesaro e del Museo Fortuny, Venezia e MUVE, Mestre, l’artista Monica Bonvicini e Christian Leveet, collezionista, filantropo e fondatore di FAMM di Mougins.
Ma per comprendere fino in fondo il significato di un premio come questo, occorre riannodare le fila della storia, guardare a quelle figure che, in tempi e contesti diversi, hanno trasformato il gesto di aprire una galleria in un lucido atto di cultura. Tra queste, Annina Nosei rappresenta una soglia fondamentale. Italiana di nascita, americana d’adozione, ha saputo cogliere e tradurre lo spirito di un’epoca. Quando, nel 1981, a New York sostenne un giovanissimo Jean-Michel Basquiat, fece molto più di una scommessa estetica: riconobbe in lui il linguaggio nuovo di una città, il battito sotterraneo di una cultura in trasformazione. In un sistema ancora chiuso, Nosei ebbe la lucidità e il coraggio di portare dentro al mercato qualcosa che non si sapeva ancora definire. Quella stessa capacità di coniugare intuito, rischio e responsabilità attraversa anche la storia di Lia Rumma, che, dopo l’inizio condiviso con il marito Marcello negli anni Sessanta, ha saputo portare avanti da sola un progetto radicale, costruendo a Napoli una galleria che fosse al tempo stesso luogo di memoria e di sperimentazione. Dopo la mostra-manifesto «Arte Povera + Azioni Povere» ad Amalfi nel 1968, Rumma ha attraversato decenni di trasformazioni culturali rimanendo fedele a un’idea alta del lavoro galleristico: sostenere artisti che parlano il linguaggio della complessità, accompagnarli nel tempo, creare continuità tra l’opera e il contesto.
Allo stesso modo, anche Antonia Jannone ha saputo aprire uno spazio nuovo nel panorama artistico italiano, scegliendo una via unica e inaspettata: nel 1977, ha fondato a Milano una galleria interamente dedicata al disegno di architettura — un’espressione artistica che fino ad allora non aveva trovato un proprio riconoscimento autonomo. Le prime personali di figure come Leon Krier, Ernesto Bruno Lapadula, Giovanni Muzio, Aldo Rossi o Ettore Sottsass segnano l’inizio di un percorso che riconosce nel disegno un valore poetico e culturale indipendente dalla funzione progettuale. Parallelamente, Jannone ha dato spazio anche alla scenografia e al design, ospitando autori capaci di esprimere visioni personali e inconfondibili, da Luca Pignatelli a Nathalie Du Pasquier, da George Sowden ad Andrea Branzi.
Una sensibilità affine, nutrita da uno sguardo indipendente, si ritrova anche nel lavoro di Raffaella Cortese, che a metà degli anni Novanta sceglie Milano per costruire una galleria diffusa, fatta di spazi distinti ma uniti da un pensiero comune. Fortemente orientata verso l’arte femminile, la fotografia, il video e la performance, Cortese ha concepito la galleria come un luogo attraversabile, in cui il dialogo tra opera, tempo e città si fa concreto.
Negli ultimi decenni, altre voci si sono aggiunte a questo coro femminile che sta ridefinendo il ruolo della galleria d’arte, una tra tutte Vistamare, che ha sede dal 2001 a Pescara e che ha aperto anche a Milano nel 2018. Fondata da Benedetta Spalletti e poi ampliata insieme a Lodovica Busiri Vici, fin dalle origini si è imposta come spazio relazionale, dove il tempo e l’attenzione alle persone contano quanto le opere esposte. Questo approccio si riflette nella scelta degli ambienti - luminosi, armonici, evocativi - e nella programmazione, che contempla mostre di artisti già affermati accanto ad altre in cui dialogano generazioni diverse, da Mario Airò a Rosa Barba, da Armin Linke a Claudia Comte e Anna Franceschini, valorizzando percorsi non lineari, talvolta laterali ma sempre profondamente sentiti.
Queste storie non sono episodi isolati, ma parti di un’unica narrazione: quella di donne che, nel tempo, hanno saputo trasformare la galleria in un laboratorio di senso. Se nel sistema dell’arte è spesso il mercato a dettare le regole, il Premio Diana Bracco si distingue come un segnale alternativo, capace di rimettere al centro la qualità della visione, la profondità delle relazioni, la capacità di creare contesti vivi e generativi. Scegliere di fare arte, oggi, significa anche scegliere di accompagnarla nel mondo. Chi fa tutto ciò con passione, con cura, con un’intelligenza che non separa l’estetico dall’etico, non solo arricchisce il panorama culturale, ma lascia un segno nel costruire un futuro più consapevole. È a queste donne che il Premio si rivolge. E sono queste storie che meritano di essere ascoltate, ricordate, continuate.
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