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Gareth Harris
Leggi i suoi articoliQuest’anno gli stand di Art Basel (14-17 giugno) sono costellati di giovani e vecchi finalisti e vincitori del Turner Prize. Ma questo riconoscimento molto british, ha un valore sul mercato internazionale? Istituito nel 1984 dalla Tate, il premio è rivolto ad artisti residenti nel Regno Unito le cui opere abbiano ricevuto una significativa visibilità durante l’anno precedente. Il trentenne neozelandese Luke Willis Thompson, il più giovane finalista del 2018, ha una mostra alla Kunsthalle di Basilea (8 giugno-19 agosto).
Nel frattempo, ad Art Basel 2018, Lubaina Himid, l’anno scorso, a 63 anni, la più anziana vincitrice di tutti i tempi, è protagonista di una personale nella sezione «Feature» della fiera, nello stand della galleria londinese Hollybush Gardens. «Anche prima che vincesse il Turner Prize, il mercato si interessava alle sue opere» dice Lisa Panting, condirettrice di Hollybrush Gardens, che rappresenta la Himid dal 2013. «I prezzi per i suoi lavori sono aumentati ma non hanno fatto il botto». Le opere della Himid sono apparse di rado in asta; il database dei prezzi di Artnet ne annovera una sola, rimasta invenduta da Phillips Bayswater nel 1999, a una stima di appena 400-600 sterline. La galleria presenta opere dal ciclo «Negative Positives: the Guardian Series» (2007-16), in cui l’omonimo quotidiano inglese funge da tela. I prezzi partono da 14mila euro. Le opere della serie del 2017 «Men in Drawers» partono invece da 34mila euro. La Panting spiega che i collezionisti fuori dal Regno Unito sono consapevoli del Turner Prize e di come conferisca una legittimazione agli artisti, dal punto di vista critico come da quello commerciale.
Candice Worth, consulente d’arte di New York. conferma questa situazione. Il premio è «prestigioso», dice, ed è nel radar dei «collezionisti internazionali». La Worth aggiunge che la decisione presa dalla Tate lo scorso anno di abolire il limite di età di 49 anni è in sintonia con il trend attuale. «È coerente, in un momento in cui il mercato inizia a riconoscere l’importanza di artisti di mezza età finora sottovalutati». Candice Worth paragona il Turner Prize al premio Hugo Boss (100mila dollari), conferito dalla Solomon R. Guggenheim Foundation di New York, e all’annuale MacArthur Fellows Program, che offre «borse di studio» a figure culturali americane o che risiedono negli Stati Uniti. Altri artisti hanno visto incrementare il valore delle loro opere come conseguenza del premio, anche se si tratta di un processo lento.
La Grimm Gallery di Amsterdam presenta «Kohl» (2018), un video su quattro canali di Elizabeth Price, che ha vinto il Turner nel 2012. Proposta a 34mila euro, l’opera è in edizione di tre ed è disponibile anche come parte di un trittico (57mila euro il prezzo totale). I prezzi delle opere della Price non sono saliti immediatamente dopo la sua vittoria del premio, ma il suo lavoro ha guadagnato valore nel tempo, afferma Jorg Grimm. «Vincere il Turner dà prestigio al curriculum di un artista in maniera costante negli anni», dichiara.
Eppure, gli artisti coinvolti nei primi anni del premio spesso non ne hanno tratto alcun beneficio. La scomparsa scultrice inglese Helen Chadwick fu una delle prime donne finaliste, nel 1987. La londinese Richard Saltoun propone una serie delle sue opere nella sezione «Feature» ad Art Basel. I collezionisti sanno che era stata finalista al premio? «Ne dubito, dichiara Saltoun. Dubito che il pubblico di Basilea sappia chi è Helen Chadwick». Tuttavia, «abbiamo deciso di presentare “Piss Flowers” (1991-92) e “Wreaths to Pleasure” (1992-93). Due delle opere avranno un prezzo di circa 240mila e 300mila euro». Lavori più piccoli sono proposti a partire da 1.700 euro. Saltoun è uno dei 16 espositori presenti per la prima volta in fiera, molti dei quali sono gallerie emergenti e di dimensioni medie.
La storia pesa
Marc Spiegler, direttore generale di Art Basel, dichiara: «Parliamo molto dei temi e delle sfide affrontati dalle gallerie giovani e da quelle che non sono sul mercato da tanti anni, e stiamo anche valutando nuovi modi per aiutarle e sostenerle».
Dodici mercanti europei faranno il loro debutto; ci saranno anche tre nuovi galleristi americani, tra cui Essex Street di New York. Forse sorprende la presenza di una sola galleria asiatica, la White Space di Pechino. La partecipazione, negli scorsi anni, alla sezione «Feature», che è dedicata ad artisti storici, ha ripagato alcuni mercanti come Alexander Gray Associates di New York e KOW di Berlino, entrambi promossi quest’anno alla sezione principale. Nella stessa sezione quest’anno partecipano Monica De Cardenas di Milano con una personale di Alex Katz, Fonti di Napoli con Salvatore Emblema, Lorcan O’Neill di Roma con Rachel Whiteread (a proposito di Turner Prize) e P420 di Bologna con Paolo Icaro.
Nessuna italiana è invece presente in «Statements», la sezione destinata a giovani gallerie che presentano mostre monografiche. In compenso, c’è una qualificata rappresentanza nella sezione principale, «Galleries», dove espongono Artiaco di Napoli, Massimo De Carlo, Invernizzi, kaufmann repetto, Giò Marconi, Stein, Tega e Zero di Milano, Magazzino di Roma, Galleria dello Scudo di Verona, Massimo Minini di Brescia, Noero di Torino, Tucci Russo di Torre Pellice e le «multinazionali» Tornabuoni Art e Continua.

«Nudes 2» (2017) di Daniel Dewar & Gregory Gicquel nello stand di Jan Kaps. Courtesy of the artists and the gallery
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