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Pino Pinelli

Foto Marco Carloni

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Pino Pinelli

Foto Marco Carloni

Pino Pinelli giocava a dadi con la pittura

È scomparso a 86 anni l’inventore delle disseminazioni, oggi più attuali che mai. Stava lavorando a una mostra che s’inaugura postuma il 21 maggio a Milano

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Alberto Fiz

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Non passava Capodanno senza la telefonata di Pino. Gentile, affabile, con un'ironia bonaria, chiamava immancabilmente qualche ora prima che iniziasse il nuovo anno. Erano auguri sinceri e calorosi i suoi, ben lontani dalla ridda di messaggi virtuali e anonimi che si differenziano solo per gli emoticon preconfezionati. Ma quel suo gesto ripetuto di anno in anno faceva la differenza. Del resto, Pino Pinelli, siciliano (era nato a Catania nel 1938), trapiantato a Milano dove ha vissuto sin dal 1963, l'omologazione non l'ha mai accettata e bastava il suo abbigliamento per renderlo unico con quei completi gessati, il fazzolettino nel taschino e il cappello a tesa larga sempre in tono. Un gentiluomo d'altri tempi che faceva persino il baciamano. A 86 anni è scomparso il 30 aprile senza accorgersi di aver raggiunto quell'età che certo sulle spalle non si sentiva. Solo il suo sguardo, nel corso del tempo, si era fatto più malinconico, ma la voglia di gettarsi in nuove avventure non era certo venuta meno.

Ci siamo incontrati in maniera troppo frettolosa, come spesso accade, anche se nelle rare chiacchierate in studio a Milano ha avuto modo di raccontarmi non solo la complessa e sofisticata tecnica delle sue opere, ma anche quanto fosse importante il gesto pittorico e la continua tensione luministica.

Lui è stato tra i protagonisti della Pittura Analitica, un movimento non movimento che ho riproposto in una serie di mostre e due cataloghi tra il 2015 e il 2016 realizzati insieme alle gallerie Marella e Mazzoleni. Gli «analitici» sono stati spesso litigiosi e sin troppo individualisti. Ma non era il caso di Pino, che tra di loro era tra i più inclusivi e mai ha posto degli aut aut dicendo per esempio «Se c'è quello io non partecipo...». La peculiarità della Pittura Analitica è stata di porre nuovamente al centro l'opera d'arte libera da ogni riflesso sociologico e non più il sistema consentendo alla pittura di uscire da una crisi che sembrava irreversibile.

Del resto, proprio Pinelli dichiarava nel 1973 come la pittura fosse «un’operazione cosciente che usa strumenti pittorici, che usa la stessa manualità e la tecnica del dipingere, ponendosi come elemento primario in termini linguistici e strumentali di estremo rigore».

Non a caso, poco tempo dopo, nel 1976, l'elaborazione del mezzo lo ha condotto alle «disseminazioni», la sua invenzione più importante, che hanno spezzato per sempre l'oggettività della rappresentazione creando uno spazio fluido, ogni volta differente, dove, come lui stesso ha affermato «i frammenti sono corpi inquieti di pittura proiettati nello spazio». Hanno quasi 50 anni le sue disseminazioni e appaiono più attuali che mai, metafora di una realtà sempre più parcellizzata dove nulla appare stabile. La società liquida è già tutta lì, presente negli infiniti pulviscoli di una materia che, a seconda dei punti di vista, aspira verso la costruzione o, viceversa, verso la decostruzione.

Pinelli ha avuto importanti riconoscimenti nella sua vita (alla Biennale di Venezia è stato invitato nel 1986 e nel 1997), anche se forse meno di quelli che meritava. La sua ricerca tuttavia guarda al futuro e non era difficile accorgersene nel 2018, a Palazzo Reale di Milano, quando è andata in scena «Pittura oltre il limite» (a cura di Francesco Tedeschi), da cui emergeva una sottile ironia e la messa in discussione di ogni certezza: «L'arte è seduzione e fascinazione. È invito alla dimensione estetica dello sguardo» ha spiegato Pino, che talvolta sembrava parlare delle sue opere come fossero tratti nascosti della sua personalità sfuggente e non priva di enigmi, come i personaggi pirandelliani. Qualunque sia lo stato ansioso della superficie, tutto assume un aspetto nomadico e sembra fuggire via come stelle comete.

L'ultima fatica di Pino, lavoratore senza sosta, è stata la mostra prevista dalle due gallerie milanesi Invernizzi e Artra che s’inaugura invece postuma il 21 maggio. La rassegna, che prende spunto da un'intervista con Tommaso Trini, propone opere e installazioni degli anni Settanta e Ottanta, dove i lavori sembrano sorprendere per la loro leggerezza e imprevedibilità: «Le frammentarietà sono entità che si dispongono autonomamente nello spazio secondo questo gesto del lancio», ha raccontato Pino. Da lassù continua giocare a dadi scombinando le regole e ogni nostra convinzione.   

 

 

 

«Opera rossa su carta intelata» (1989) di Pino Pinelli. Cortesia di A arte Invernizzi, Milano

Alberto Fiz, 06 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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Pino Pinelli giocava a dadi con la pittura | Alberto Fiz

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