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Nodo alla gola. È la sensazione che deve aver provato Oliver Barker di fronte a una sala d’asta pietrificata con telefoni muti e mani abbassate. Tutto ciò per tre minuti, sino a quando ha rotto il silenzio assordante pronunciando, con un filo di voce, la parola: «passed». Il 13 maggio, nel cuore di Manhattan, Sotheby’s affranta è stata costretta a restituire al proprietario iniziale l’opera simbolo di quell’asta, nonché lotto clou dell’intera settimana d’incanti. Mesta, mesta usciva di scena «Grande tête mince», la scultura di Alberto Giacometti che ritrae il fratello Diego con la peculiarità di essere l’unico esemplare dipinto dei sei esistenti. Barker, a venderlo, ci ha provato in tutti i modi sfoderando le sue doti teatrali. Partito da 59 milioni di dollari, il chairman di Sotheby’s Europa ha subito abbozzato a 64 milioni, un’invenzione utile a galvanizzare la sala. Nessuno invece l’ha seguito e la scultura è tornata alla Fondazione Soloviev che pretendeva d’incassare 70 milioni di dollari, cifra non inverosimile tenendo conto che il 4 maggio 2010 un medesimo esemplare privo dell’intervento pittorico, era stato venduto da Christie’s a New York per 47,5 milioni di dollari.
Garanzie in abbondanza
Ma l’errore madornale del proprietario, così come della major, è stato quello di proporre la scultura senza blindarla con le garanzie, ormai una pratica comune, sebbene del tutto opinabile. Basti pensare che nelle aste newyorkesi ben 87 lotti erano protetti per un totale di 730 milioni di dollari. Da parte sua, Christie’s il 12 maggio ha ritirato dall’asta dedicata all’arte del XX secolo l’highlight più pubblicizzato, «Big Electric Chair» di Andy Warhol proposto a 30 milioni di dollari, decisamente troppi visto che il 13 novembre 2019 era stata proprio Christie’s a vendere un’altra «Sedia Elettrica» a 19 milioni. Per giustificare il flop si è preferito un’interpretazione sociologica spiegando che l’opera non era adatta ai tempi con due guerre in corso. Chissà se l’arte è un’arma di distrazione di massa.
Certo è che a New York gli investitori sono apparsi estremamente cauti. Basti pensare che le prime dieci opere degli incanti newyorkesi hanno totalizzato complessivamente 278,6 milioni di dollari, mentre nel 2024 avevano incassato 312,4 milioni e nel 2022 addirittura 759,2 milioni. In un mercato ristretto, il top lot lo ha conquistato Piet Mondrian ma «Composition with Large Red Plane, Bluish Gray, Yellow, Black and Blue», emblematica elaborazione astratta del 1922, non è certo stata strapagata tanto che Christie’s suggeriva un’ammiccante stima a richiesta, ben superiore ai 50 milioni di dollari. La prudente aggiudicazione è stata invece di 47,5 milioni, vale a dire 3,5 milioni in meno rispetto a quanto era accaduto il 14 novembre 2022 per un’opera pressoché analoga battuta per 51 milioni da Sotheby’s a New York. Comunque sia, il dipinto dell’artista olandese ha contribuito in maniera determinante al risultato della collezione di Leonard Riggio, fondatore della catena libraria Barnes & Noble. La raccolta formata da 34 lotti ha ottenuto 271,9 milioni di dollari senza brillare particolarmente. Le opere, tutte garantite, hanno spesso sfiorato le stime minime riaffacciandosi sul mercato dopo un periodo sintroppo breve. È accaduto così a «L’empire des lumières» di René Magritte (48,2x58,7 cm) aggiudicato a 34,9 milioni di dollari, la stessa cifra di due anni fa. Ma bisogna riconoscere che sebbene l’incasso sia stato inferiore al maggio dello scorso anno, il mercato nel suo complesso è apparso resiliente con un fatturato complessivo, considerando i diritti d’asta, di 1,1 miliardi di dollari con Christie’s che con 693 milioni ha nettamente battuto Sotheby’s ferma a 498 milioni.

Alberto Giacometti, «Grande tête mince», 1955, è rimasto invenduto
Christie’s batte Sotheby’s
Nonostante il dollaro basso e prezzi generalmente assai favorevoli, gli acquirenti sono stati in gran parte americani con scarsa partecipazione da parte dell’Oriente e degli investitori del Golfo. In asta il gruppo dei nomi papabili appare molto ridotto e per taluni c’è il rischio d’inflazione. Si sono visti 5 sculture di Giacometti, 4 dipinti di Magritte, 3 di Rothko mentre non è apparsa nemmeno una tela di Bacon, con Richter finito nelle retrovie e Jeff Koons addirittura smaterializzato. Pochi, insomma, i giocatori in campo in un sistema dove la bolla del supercontemporaneo è già scoppiata.
Tra le new entry destinate a durare lo spazio di un mattino c’è Emma McIntyre entrata nella scuderia di David Zwirner grazie alla sua non certo indimenticabile pittura astratta: il suo «Up bubbles her amorous breath» il 14 maggio da Christie’s ha cambiato proprietario per 201mila dollari rispetto a una stima già molto corposa di 50-70mila. Nella medesima asta è stato raggiunto uno dei pochi record degli incanti newyorkesi con «Miss January» di Marlene Dumas aggiudicata per 13,6 milioni di dollari in un contesto dove un’altra sudafricana, Lisa Brice, si è imposta per 2,9 milioni di dollari. Insomma, il femminile rimane ancora un tema forte su cui puntare come emerge anche dai top lot delle due surrealiste Dorothea Tanning e Remedios Varo. Quest’ultima con la sua visionaria «Revelación» ha raggiunto il 12 maggio da Christie’s 6,2 milioni di dollari.
Crolla il supercontemporaneo
La medesima asta comprendeva anche «Danseuse», un raro dipinto di Gino Severini datato 1915-16 venduto per 3,2 milioni di dollari, il doppio della stima minima e «Concetto spaziale, in piazza San Marco di notte con Teresita» di Lucio Fontana che ha fatto fermare il martello del banditore a 7,5 milioni di dollari con una flessione del 45% rispetto al 6 ottobre 2017 quando era stata venduta da Christie’s a Londra per 10 milioni di sterline. Ma Fontana riflette un mercato alla ricerca di nuovi equilibri costretto a fare i conti con una forte contrazione dei listini spesso non lontani (quando va bene) da quelli di dieci anni fa. Il 15 maggio da Sotheby’s «Adelante», 1964, di Frank Stella è stato liquidato a 7 milioni di dollari, rispetto a una stima di 10-15 milioni di dollari e «Abstraktes Bild» di Gerhard Richter si è fermato a 6,9 milioni di dollari. Anche le opere della gallerista americana Barbara Gladstone solo in rari casi hanno brillato (l’incasso totale è stato di 18,5 milioni di dollari) com’è avvenuto per i «Fiori» neri di Warhol aggiudicato per 3,8 milioni di dollari, tre volte al di sopra delle valutazioni minime. Ma per «Man Crazy Nurse» di Richard Prince il martello del banditore si è arrestato a 3,9 milioni di dollari quando nel 2007 un’opera con caratteristiche analoghe aveva raggiunto 6 milioni di dollari. «L’arte non è una merce ma un valore», aveva dichiarato Gladstone. Sagge parole. Bisogna solo capire qual è il valore e nell’attuale situazione non appare affatto facile. Conviene dunque gettarsi nella mischia, pronti a sfruttare le occasioni offerte da un mercato mai così favorevole. Almeno per gli acquirenti.
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