Elena Franzoia
Leggi i suoi articoliTra le più celebri coppie del collezionismo internazionale, Nancy Olnick e Giorgio Spanu sono stati insigniti a settembre a Firenze dal Museo Novecento del Premio Rinascimento+, destinato a collezionisti che si siano distinti per il diretto sostegno agli artisti, all’arte e alla società civile. All’origine di una delle più importanti raccolte di vetri di Murano del mondo, Olnick e Spanu hanno fondato nel 2014 a Cold Spring, poco lontano da New York, il centro espositivo e di ricerca Magazzino Italian Art, per esporre la propria raccolta di arte contemporanea, focalizzata sull’Arte povera, e valorizzare negli Stati Uniti la creatività italiana. Il centro festeggia ora i suoi primi dieci anni con la mostra «Marco Anelli: Building Magazzino» (fino al 28 ottobre).
Che significato riveste per voi il Premio Rinascimento+?
Giorgio Spanu: È stato molto importante innanzitutto per il profondo legame che ci lega a Firenze, dove ho vissuto da studente negli anni ’70 e dove ho potuto ammirare il lavoro svolto dai meravigliosi musei fiorentini. Il premio ci è stato conferito da Sergio Risaliti, che conosciamo molto bene dai tempi della mostra «Semper» da lui organizzata proprio a Palazzo Medici Riccardi nel 2009. Inoltre Rinascimento+ è già stato assegnato ad altri collezionisti come Rosella e Carlo Nesi, Franca e Lorenzo Pinzauti, Danna e Giancarlo Olgiati, tutti nostri carissimi amici, così come Lorenza Sebasti e Marco Pallanti, proprietari del Castello di Ama. Sono amicizie molto solide di raffinati collezionisti che ci hanno aiutato e seguito fin dall’inizio. Risaliti ha inoltre collaborato personalmente al nostro programma di residenze d’artista, l’Olnick Spanu Art Program, a Garrison (New York), dove abbiamo la nostra «casa dei weekend», e ha scritto uno straordinario saggio dal titolo «Earth-Heart-Light» per il catalogo di Domenico Bianchi. Si tratta di un progetto nato nel 2003 quando Giorgio Vigna, che collaborava con noi per i vetri di Murano, in seguito a un blackout rimase praticamente prigioniero a Garrison e notò una cisterna per l’acqua che per motivi di sicurezza avevo fatto coprire di cemento. Giorgio ci propose di installarci una scultura, «La Radura», di fatto creando le regole-base del nostro programma. Il primo artista che è poi venuto in residenza è stato Massimo Bartolini, che quest’anno rappresenta l’Italia alla Biennale di Venezia con un lavoro simile a quello realizzato per l’Olnick Spanu Art Program, intitolato «Conveyance (Vitalia)». Vitalia Laconi era mia nonna.
Nancy Olnick: Per me essere americana, innamorarmi di un italiano, amare da sempre l’arte, e poi vivere in Italia ed esporre arte italiana, è stata una svolta fondamentale. Quindi ricevere questo premio è stato molto commovente e in un certo senso sorprendente, mai me lo sarei immaginato. Lo stesso Magazzino è nato davvero come un deposito d’arte privato, non avremmo mai pensato che avrebbe assunto la dimensione e l’importanza che ha ora come unico museo nel Nord America dedicato all’arte italiana del dopoguerra e contemporanea. Il premio avvalora questo incredibile viaggio che abbiamo intrapreso dieci anni fa. Il Governo italiano mi ha conferito a gennaio 2024 il titolo di Cavaliere della Repubblica. Due eccezionali conferme per il lavoro che abbiamo fatto, ma su cui all’inizio non avevamo affatto puntato... Amiamo solo l’arte e amiamo condividerla con il pubblico. Magazzino invece ha attirato visitatori di ogni tipo, con un impatto significativo anche sugli artisti, molti con studi a Brooklyn. Uno dei primi a venire è stato Christo. Siamo commossi perché ci sono artisti che donano spontaneamente le loro opere a Magazzino, come Piero Gilardi, che ci offrì 20 lavori, o Marco Anelli e Mimmo Paladino, che ci hanno appena annunciato l’intenzione di donarci dei loro lavori.
Com’è nata in voi la passione per il collezionismo?
N.O. All’inizio collezionavamo oggetti come i vetri di Murano che a noi piacevano, ma all’epoca non interessavano a nessuno. Holly Hotchner, mia ex compagna di liceo, mi chiamò perché aveva visto alcuni vetri di Carlo Scarpa che avevamo prestato al Musée des Arts Décoratifs di Montreal in Canada e mi disse: «Ho visto i vostri vetri esposti a Montreal, dirigo l’American Craft Museum a New York (oggi Museum of Arts and Design), e mi piacerebbe dedicare una mostra a questa vostra raccolta a New York». Nacque così la mostra che ci dedicarono nell’autunno del 2000 e che viaggiò negli Stati Uniti e in Europa con catalogo di Massimo Vignelli, il primo studio scientifico veramente completo sul vetro di Murano del XX secolo attraverso il lavoro di 40 artisti e le più importanti vetrerie. All’epoca non esisteva molta letteratura specializzata, tanto è vero che quando collezionavamo, non avevamo molto su cui basarci tranne gusto e istinto. La sera dell’inaugurazione, dissi a Giorgio: «Chi verrà a vedere questa mostra? A chi può interessare?» E invece il museo era strapieno, con la fila intorno all’isolato. Ci siamo divertiti davvero tanto a condividere queste mostre che hanno fatto il giro del Paese, in sei musei degli Stati Uniti. Successivamente siamo stati invitati allo Spazio Oberdan di Milano. Per cinque anni la condivisione con il pubblico dei nostri vetri è diventata il nostro obiettivo principale, insieme ai nostri figli. In seguito abbiamo iniziato a collezionare arte italiana, acquistando opere troppo grandi per la nostra casa tutta di vetro progettata da Alberto Campo Baeza, fatto che ci ha spinto ad avere un deposito dove conservarle e farle vedere agli amici. Per l’appunto, Magazzino.
G.S. Fondamentalmente, eravamo entrambi interessati a ciò che vedevamo da giovani. Io da studente abitavo a Firenze e potevo vedere soprattutto arte moderna europea. Ho iniziato ad ammirare Paul Klee grazie a una mostra a Palazzo Strozzi che ha cambiato la mia visione dell’arte, negli anni ’70. Nancy, ovviamente, aveva maggiori occasioni perché New York allora era il centro dell’arte contemporanea, soprattutto pop. Abbiamo quindi trovato un terreno comune. Uno dei primi parametri che utilizziamo è che dobbiamo amare l’opera e l’opera deve amare noi. Siamo attratti dalla bellezza. Guardiamo l’opera con i nostri occhi, ma sentiamo con il nostro stomaco. Non compriamo arte perché pensiamo ai valori di mercato o con l’intenzione di colmare delle lacune. Così nei primissimi anni ’90 siamo andati a Roma, dove Nancy era già stata spesso e aveva incontrato Sauro Bocchi, che aveva una piccola galleria ed era quello che oggi definiremmo un art advisor estremamente competente in ambito contemporaneo. Quando gli abbiamo chiesto: «Che cosa pensi dovremmo guardare? Su quali artisti contemporanei dovremmo concentrarci?», ci ha risposto: «Dovreste indicarmi voi quelli che vi piacciono. Andate a dare un’occhiata al Castello di Rivoli». C’era una magnifica mostra sull’Arte povera curata da Rudi Fuchs, di cui a noi piacque tutto. Sauro allora iniziò a indirizzarci verso le gallerie di Roma, partendo da Mario Pieroni che si era trasferito di recente in piazza Vittoria. Sauro, Mario e sua moglie Dora (Stiefelmeier, Ndr) sono figure di cui, sfortunatamente, il mondo dell’arte oggi è terribilmente carente. Non li abbiamo mai considerati mercanti. Prima di tutto, erano amici.
N.O. Quando guardavamo opere anche di grande impatto visivo, volevamo capire meglio il concetto, il gesto eversivo dell’artista. Abbiamo iniziato a collezionare molto lentamente, solo pezzi per noi. E abbiamo comprato anche molti libri per studiare e capire meglio. È lo stesso motivo per cui a Magazzino abbiamo aperto il Germano Celant Research Center. Infatti, il termine «collezionisti» non rappresenta davvero tutto ciò che facciamo. La formazione è quello che volevamo condividere il più possibile, offrire a studenti, Università e studiosi l’opportunità di avere accesso a biblioteca e archivi. Ora stiamo aggiornando i nostri strumenti proprio perché gli studiosi di tutto il mondo abbiano accesso al Germano Celant Research Center senza necessariamente venire a Cold Spring.
Il vostro prossimo progetto riguarderà Maria Lai, un omaggio alle origini sarde di Giorgio immagino.
G.S. È stata Nancy a scoprire Maria Lai: a New York, non in Sardegna. Avevamo visto alcune sue opere in casa di Giorgio Vigna, che era stato suo stretto collaboratore a Roma. La prima persona a parlarci di lei fu Sauro Bocchi, che le aveva dedicato nel 1988 una piccola mostra e mi aveva regalato il catalogo invitandomi a dare un’occhiata, cosa che non avevo mai fatto. A un certo punto però, Nancy iniziò a interessarsene e trovò in internet una galleria tedesca che aveva delle opere. Era il 2014. Scrissi e mi risposero che avrebbero partecipato a una mostra collettiva a New York intitolata «Thread Lines», al Drawing Center. Qui incontrammo una signora, Mila Dau, canadese di origini sarde che aveva collaborato con noi ed era stata studentessa di Maria Lai. Con lei c’era la nipote dell’artista, Maria Sofia Pisu. Abbiamo così iniziato questa fantastica relazione e ci siamo immersi molto nel suo lavoro. La storia di Maria Lai è quella, sorprendente, di una donna straordinaria, che non affronta affatto solo l’aspetto femminista del lavoro delle donne in Sardegna. Alla fine dell’estate 2014 facemmo un viaggio in Italia e andammo a Ulassai a vedere la Fondazione Maria Lai, la Stazione dell’Arte. Rimanemmo sbalorditi da tanta bellezza. Creammo subito una piccola collezione, che abbiamo poi prestato a documenta di Kassel, agli Uffizi, al
MaXXI. Ora a Magazzino non solo abbiamo lo spazio giusto, ma anche il curatore giusto per renderle omaggio. Di recente Paola Mura, sarda residente a Cagliari, ha accettato di collaborare con Magazzino, diventandone anche la direttrice artistica. La prima mostra che ha curato per il museo è quella su Marco Anelli, inaugurata ad agosto, e la seconda, che aprirà presto, sarà proprio su Maria Lai.
Il grande cruccio di ogni collezionista è il destino delle proprie raccolte. Voi come vi immaginate il futuro?
G.S. A questo punto, non stiamo più collezionando attivamente. Siamo davvero saturi. Abbiamo Magazzino, e il nostro obiettivo oggi è assicurargli un futuro. Infatti «abbiamo morso più di quanto potessimo masticare», e le nostre risorse diminuiscono. Stiamo quindi cercando di raccogliere fondi da istituzioni pubbliche e gallerie e collezionisti privati, anche italiani, perché Nancy e io, da soli, ce la faremo ancora per poco. Recentemente l’americana Reed Foundation è stata molto generosa nell’aiutarci. Questo ci ha permesso di promuovere un artista italiano, Lucio Pozzi (per anni opinionista di «Il Giornale dell’Arte», Ndr), che ha vissuto e ha insegnato a New York per tantissimi anni. La mostra sarà curata da David Ebony e aprirà tra gennaio e febbraio 2025. Molti giovani artisti che sosteniamo, ad esempio Bruna Esposito, lo considerano il loro maestro. Non lo conoscevamo affatto, ma dopo aver visitato il suo studio a Hudson abbiamo deciso di onorare il suo 90mo compleanno. È importante che Magazzino ricordi e promuova artisti che rischiano altrimenti di essere dimenticati, com’era successo con Costantino Nivola o Piero Gilardi, con le mostre che abbiamo loro dedicato nell’edificio principale, dove presto dopo Pistoletto esporremo il lavoro di Pozzi.
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