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Gijs Van Vaerenbergh, «Rovina Inversa» per il progetto «Siris» nel Parco Archeologico di Herakleia

© Roberto Conte

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Gijs Van Vaerenbergh, «Rovina Inversa» per il progetto «Siris» nel Parco Archeologico di Herakleia

© Roberto Conte

Nel Parco Archeologico di Herakleia le rovine sono vive nel mito di Demetra e Kore

È stato presentato il 10 novembre il progetto «Siris» che nella natura incontaminata valorizza con suoni e installazioni i resti dell’antica colonia magnogreca della Basilicata

«Le storie le raccontano le foglie nel vento
o le radici che crescono al buio?
Le storie le ascolta Demetra sotto il sole
o le raccoglie Persefone tra i sussurri dell’Ade?»

La sera di lunedì 10 novembre cantava queste strofe, come una sacerdotessa nel suo «adyton», la poetessa Claudia Fabris sulle note di Max Magaldi e la nenia magnetica della musicista Daniela Pes, all’interno di un «tempio» singolare, insieme essenza e assenza, spazio vuoto e pieno, nelle luci di un tramonto perfetto a puntellare i confini del Parco Archeologico di Herakleia, a Policoro (Mt).

Poco più che un anno dopo l’inizio dei lavori, il laboratorio sperimentale Studio, Studio, Studio di Edoardo Tresoldi ha inaugurato «Siris», il progetto di valorizzazione del Parco Archeologico dell’antica sub-colonia di Taranto e Thurii (odierna Sibari). Un’imponente area, 90 ettari di estensione, con una vegetazione mediterranea mai compromessa, fatta di vento, foglie, profumi dalla terra e dall’acqua, sorgenti antiche, specchio del cielo. Qui, i coloni che fondarono Herakleia posero le pietre dei loro templi, qui onoravano sicuramente Dioniso, Afrodite e Demetra, qui la natura domina ancora oggi incontrastata ed è alla natura e alla storia più remota che si ispirano gli interventi di valorizzazione localizzati nella Vallata Mediana del Parco. Se la «Rovina Inversa», opera del duo belga Gijs Van Vaerenberg, un tempio di cui si conserva in modo immaginifico solo la parte superiore per un’altezza di 12 metri, sembra alludere chiaramente all’«anodos» di Persefone (di cui il museo adiacente è ricco di splendidi esemplari in terracotta), le sette sculture ispirate alle edicole votive rurali sparse nel Parco e ideate dall’artista spagnola Selva Aparicio, la sua «Chora», rappresentano per il visitatore un percorso esperienziale di meditazione nell’avvicinamento alle rovine del santuario di Demetra. Piccoli templi per offerte dell’oggi, trapunte di foglie e rami, pietre miliari di soste e preghiere simboliche. E poi, in una dimensione quasi onirica, compaiono parole di una lingua sconosciuta tra suoni naturali e animali. 

Una delle sette sculture ispirate alle edicole votive rurali sparse nel Parco e ideate dall’artista spagnola Selva Aparicio. Photo: Daniela Ventrelli

Sorprendente la sonorizzazione immersiva «Arbosonica», creatura trigemina (Max Magaldi con il contributo di Claudia Fabris e Daniela Pes) e coinvolgente. Colonne di suoni geolocalizzati, percepibili in forma individuale attraverso una speciale cuffia a trasmissione ossea che non separa l’udito dai toni circostanti (e si blocca se l’utente si distrae scrivendo o parlando al cellulare), offrono un’esperienza di potente impatto emotivo, capace di ricreare una dimensione insieme antica e moderna, mai alienante. L’intero percorso è un inno alla natura e a quell’alternarsi delle stagioni che vuole la sua arché nel mito di Demetra e sua figlia Kore/Persefone. «Se non impari a morire, non potrai fiorire. Se non impari a fiorire non potrai morire», recita Claudia Fabris nella «Rovina Inversa» fatta di malta e solidi tubi d’acciaio che nell’intenzione degli artisti «è di fatto un contrasto fra la geometria esatta della struttura e l’esplosione caotica della rovina», dichiara Antonio Oriente, direttore artistico del progetto.

Il risultato è una rievocazione del concetto di sacro attraverso la valorizzazione dell’elemento architettonico-umano del Tempio Arcaico e di quello ancestrale-naturale del Bosco Sacro, resa armonica senza dubbio dall’elemento sonoro, attributo proprio della manifestazione del divino nelle culture mediterranee. «Siris» rientra nel progetto di «Valorizzazione aree sacre del Parco Archeologico di Herakleia e realizzazione di un Ecomuseo», promosso dal Ministero della Cultura, ideato per assicurare una più ampia comprensione delle testimonianze archeologiche attraverso la creazione di opere d’arte che evocano gli aspetti peculiari del Tempio Arcaico (forse attribuibile a Dioniso, o più probabilmente ad Afrodite per il ritrovamento di alcune iscrizioni dedicate alla dea cipride), dell’area del Santuario di Demetra e del valore spirituale del contesto naturalistico che li circonda.

 Le opere, concepite come installazioni stabili ma del tutto reversibili, costituiscono un elemento di importanza centrale ai fini del completamento dell’Ecomuseo, immaginato per ridare luce alle tracce materiali e immateriali delle colonie greche che si insediarono nell’arco ionico della Basilicata, a partire dal VII secolo a.C., e per rinsaldare la relazione tra queste presenze, il Parco e il vicino Museo Archeologico Nazionale della Siritide, che di queste presenze custodisce preziose tracce nell’argilla, nell’oro, nel bronzo di reperti straordinari, ancora troppo poco noti. L’intero processo creativo, dai sopralluoghi sino all’installazione delle opere, è raccontato dal noto documentarista pugliese Giovanni Troilo a suggellare un progetto corale, tripartito coerentemente fra arte, architettura e paesaggio con la spasmodica esigenza di ritrovare quell’essenziale contatto umano attraverso una rivitalizzazione delle rovine di oggi, segno di un ciclo che trova la sua linfa vitale nel continuo alternarsi tra nascita e morte, inizio e fine, l’una condizione indispensabile e compimento naturale dell’altra. 

Gijs Van Vaerenbergh, «Rovina Inversa» per il progetto «Siris» nel Parco Archeologico di Herakleia. © Roberto Conte

Daniela Ventrelli, 12 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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