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Martina Bagnoli

Foto: Mario Rota

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Martina Bagnoli

Foto: Mario Rota

Martina Bagnoli: «Voglio parlare ai giovani, anche di cultura queer»

«Faremo incontrare impresa, università e museo, perché la Carrara sia un laboratorio», spiega la nuova direttrice dell’Accademia bergamasca, per otto anni alla guida delle Gallerie Estensi

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Dal primo febbraio scorso, alla conclusione del mandato di M. Cristina Rodeschini, Martina Bagnoli (Bolzano, 1964) è la nuova direttrice di Fondazione Accademia Carrara. In arrivo dalle Gallerie Estensi (una costellazione di magnifiche istituzioni diffuse tra Modena, Sassuolo e Ferrara), che ha diretto per otto anni, dopo essere stata lungamente curatrice di Arte medievale al Walters Art Museum di Baltimora; con una formazione internazionale alle spalle, prima all’Università di Cambridge (laurea e master) poi alla Johns Hopkins University di Baltimora, dove ha ottenuto il dottorato e dove ha poi insegnato, Martina Bagnoli risponde alle domande del «Giornale dell’Arte» ormai alla guida di questa nuova realtà, fortemente radicata nel territorio (e molto amata dai bergamaschi) ma anche aperta all’internazionalità.

Dottoressa Bagnoli, il sindaco Giorgio Gori e l’assessore Nadia Ghisalberti hanno affermato di aver scelto lei, fra i 29 partecipanti al concorso, «non solo per il suo curriculum, ma perché ci ha raccontato un’idea di Carrara e di sviluppo futuro del museo che ci ha convinto». Qual è la sua idea?
La visione del museo che ho presentato e che intendo perseguire è quella di luogo non solo di presentazione contemplativa delle opere d’arte, ma dove le istanze della contemporaneità possano trovare una casa. Vorrei farne un laboratorio, con progetti pilota dove impresa, università, museo stesso, possano concorrere a creare un luogo di pensiero e di elaborazione di strategie di ricerca, di formazione, di coinvolgimento. Questi mesi sono stati molto proficui per capire alcuni punti: sono già stati messi in atto nuovi servizi in aggiunta a quelli già esistenti, come ad esempio quello per i malati di Alzheimer, e stiamo valutando progetti che possono ampliare l’accessibilità del museo non solo sul fronte delle difficoltà cognitive ma anche su quello della percezione dei giovani, per i quali molto conta, per esempio, la cultura queer: che vogliamo discutere in forma dialettica.

Sul piano museografico, la Carrara è stata riallestita di recente: pensa di cambiare qualcosa?
No, cercherò di non modificare nulla: ci sono stati due riallestimenti consecutivi, uno nel 2015 e l’altro l’anno scorso. L’attuale allestimento funziona benissimo ed è scientificamente rigoroso. Senza contare che sono contraria all’idea di entrare in un’istituzione e cambiare solo per cambiare. Ciò su cui mi concentro, invece, è allineare progetti di ricerca, formazione, educazione e la programmazione delle mostre su direttive simili, per non disperdere energie né contenuti. Perché tutto quello che il museo propone sia al tempo stesso formazione e ricerca, contenuto e comunicazione. Un progetto di ricerca che stiamo avviando si fonda, per esempio, su una donazione recente, oggetto di un nuovo tipo di catalogo digitale, con strumenti innovativi dal punto di vista tecnologico. Ma siamo solo all’inizio di un percorso.

Quali mostre ha in programma, dopo il progetto d’esordio, «Napoli a Bergamo», in corso fino al prossimo settembre?
Già questa prima mostra è un esempio del mio proposito di partire dal Dna del museo e di scoprire anfratti nuovi e opere misconosciute che le sue collezioni possono nascondere. Qui, per esempio, grazie ai documenti ritrovati, abbiamo capito quale effetto dirompente abbia avuto a Bergamo il dipinto «Passaggio di Mar Rosso» di Luca Giordano, giunto in città nel 1682. Nel Seicento la pittura napoletana era molto ambita e le comunità dei mercanti locali attivi a Venezia e con filiali a Napoli giocarono un grande ruolo con gli artisti napoletani. Nel febbraio 2025, poi, sempre partendo dalle collezioni della Carrara, avremo una mostra sul tema dell’originale e della copia e sulla connoisseurship (perché questo è un museo di collezioni e di collezionisti, da Giacomo Carrara a Giovanni Morelli, tutti raffinati connoisseur), facendo al tempo stesso un discorso ontologico sul tema della copia. Che arriverà fino alla contemporaneità (qui in collaborazione con la GAMeC di Bergamo), quando la copia digitale si sostituisce talora all’originale. Per febbraio 2026 è in preparazione una mostra con un importante museo di New York. Accanto a queste, faremo anche mostre di realtà del tutto nuove, che rivelino, anche a chi non può viaggiare, Paesi e culture lontane.    

È confermata l’annunciata apertura, in giugno, dei Giardini promossi da PwC Italia, entrato nella governance della Fondazione Accademia Carrara come socio co-fondatore?
Sì: saranno aperti ai visitatori della Carrara ma anche al resto della città, mettendo in relazione il museo con gli altri giardini di cui Bergamo è costellata. Qui ci sarà anche il bistrot. E in giugno sarà completato anche il percorso coperto che collega i tre piani dell’edificio, consentendo un percorso circolare che prima non esisteva.

Dopo questi primi mesi alla direzione, che cosa ha «imparato» dalla Carrara?
Che è un museo che sta molto a cuore ai bergamaschi, e non è così scontato. È il museo della città, il che è un fattore molto positivo ma al tempo stesso impone di affrontare ogni tema con grande e impegno e attenzione.

Veduta di «Napoli a Bergamo. Uno sguardo sul ’600 nella collezione De Vito e in città» in mostra fino al primo settembre presso Accademia Carrara

Ada Masoero, 20 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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