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Luca Zuccala
Leggi i suoi articoliLa Power 100 di «ArtReview» cerca ogni anno di individuare quali forze hanno plasmato l’arte negli ultimi 12 mesi e come queste influenze si intreccino su scala globale. Più assimilabile a un ritratto collettivo che a una competizione, la classifica mostra «chi muove i fili» creando nuove direzioni, correnti e sensibilità. Sorta di mappa del potere nell’arte contemporanea, certamente discussa, è strumento assai utile per capire quali energie, visibili e invisibili, hanno dato forma all’arte dell’ultimo periodo. Interpellato da «Il Giornale dell’Arte», Mark Rappolt, editor-in-chief di «ArtReview», ha sottolineato come la lista non misuri soltanto il potere, ma osservi come l’influenza si trasformi, emergendo in nuove geografie, nuove strutture e nuove forme di legittimazione.
Dal 4 dicembre la classifica Power 100 è sul sito di ArtReview.
La Power 100 è ormai una delle classifiche più attese e discusse del mondo dell’arte. Qual è, secondo lei, la sua vera funzione oggi? È un barometro del potere o un riflesso di come il potere sta cambiando?
Credo che la sua funzione principale sia quella di esplorare la rete di interessi che permette ad alcune forme d’arte di emergere mentre altre passano in secondo piano. Al tempo stesso, mappa l’influenza relativa dei vari parametri di valore nel mondo dell’arte, economici, sociali, politici, estetici, che a loro volta riflettono i diversi ruoli che attribuiamo all’arte. In questo senso è un barometro del potere. Ovviamente registra come la natura dell’influenza cambia nel tempo, anche se a volte il ritmo di questo cambiamento può essere più lento di quanto desidereremmo o ci aspetteremmo.
Ogni anno, la Power 100 rivela una geografia diversa dell’arte globale. Che cosa ci dice l’edizione 2025 su come sta cambiando il baricentro del mondo dell’arte?
Direi che continua a tracciare l’emergere degli Stati del Golfo come nuovo centro del mondo dell’arte. E, parallelamente, il crescente ruolo del cosiddetto Global South o Global Majority come generatore sempre più influente di dibattito critico e culturale. Forse l’aspetto più interessante è che stanno emergendo nuove strutture e istituzioni che sfidano i modelli tradizionali delle organizzazioni artistiche statali o delle istituzioni museali che si sono sviluppate nell’ultimo secolo.
Come viene effettivamente costruita la lista? Qual è il processo di selezione e confronto che porta ai nomi scelti?
Una rete di persone, con ruoli e provenienze geografiche diverse, propone figure che influenzano il tipo di arte prodotta e visibile nei loro territori (sono circa una quarantina). Questo crea una piattaforma di discussione per capire quali nomi ricorrono nelle varie aree e quali hanno un impatto realmente globale (puoi, per esempio, essere dominante in una regione o in una categoria, ma del tutto irrilevante altrove). In generale, i criteri sono tre: influenza internazionale e non locale; influenza sul tipo di arte prodotta; aver fatto qualcosa negli ultimi 12 mesi e non vivere di rendita.
Quale ruolo giocano i mercati emergenti, come Medio Oriente, Africa e Asia meridionale, nei nuovi equilibri dell’influenza artistica globale?
Forse è sbagliato chiamarli mercati «emergenti». L’arte di queste regioni esiste ed è commercializzata da millenni. Ciò che è cambiato è che non vengono più viste come produzioni volte a soddisfare uno sguardo occidentale, né dipendono più dalla validazione dei centri d’arte occidentali o dai loro modelli organizzativi. Anche se ciò non significa che non vengano talvolta cooptate per alleviare il senso di colpa occidentale legato a un passato di sfruttamento.
Esiste ancora spazio per l’artista «solitario» nel sistema dell’arte, oppure il vero protagonismo appartiene ora alle istituzioni e alle grandi reti culturali?
Viviamo in un mondo fondato sulla celebrità e sulla costruzione di persone individuali; il mondo dell’arte non è un’eccezione. Le mostre personali dominano ancora i programmi di musei e gallerie. Tuttavia, le reti e i «networker» sono sempre più presenti nella lista: dopotutto, il potere a volte appartiene a chi riesce a farsi sentire più forte.
Negli ultimi anni l’arte è diventata un terreno di confronto politico e sociale. Temi come clima, femminismo, postcolonialismo o diritti civili quanto influenzano la scelta dei nomi? E quanto incidono sulla definizione stessa di «potere» oggi?
Nella misura in cui questi discorsi diventano più visibili, influenzano la lista. Ma non è solo una questione di temi. Sono uno dei modi in cui attribuiamo valore all’arte, non l’unico.
C’è il rischio di autoreferenzialità, di rappresentare un sistema che guarda solo a sé stesso?
È questa, in fondo, la lezione della storia dell’arte. La lista esiste per riflettere ciò che c’è, non ciò che vorremmo ci fosse. Anche se questo istinto non è sempre facile da reprimere completamente.
Dopo vent’anni di Power 100, quali sono secondo lei i cambiamenti più radicali nel modo in cui intendiamo il potere culturale?
Il potere culturale non riguarda più soltanto il denaro e la proprietà anche se si potrebbe sostenere che questo cambiamento sia in realtà in corso da secoli.
Quali nuove figure stanno emergendo che potrebbero ridefinire l’idea di influenza nel prossimo decennio?
C’è un trend crescente: artisti che controllano sia i mezzi di produzione sia quelli di distribuzione. Il che suggerisce che produzione e distribuzione potrebbero non essere più parti separate del sistema.
In che modo Intelligenza Artificiale, social media e nuove economie digitali stanno cambiando le forme di potere artistico?
Per ora il cambiamento procede lentamente.
Quale responsabilità ha oggi una rivista come «ArtReview» nel raccontare non solo il potere nel sistema dell’arte, ma anche le sue contraddizioni?
Una responsabilità totale.
La Power 100 è spesso letta come una mappatura del sistema: può essere anche un atto critico, una narrazione alternativa?
Sì, lo è nella misura in cui confrontarsi con la realtà è inevitabilmente un atto critico. Un atto che chiarisce la differenza tra teoria e pratica; tra intenzione e azione.
Se dovesse riassumere lo «spirito» dell’edizione 2025 della Power 100 in una frase, quale sarebbe?
Fare da sé. Non aspettare che qualcuno faccia le cose al posto tuo.
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