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David Landau
Leggi i suoi articoliL'8 novembre 2025 segna per New York una nuova pagina nella storia del suo skyline: l’inaugurazione del nuovo quartier generale globale di JPMorgan Chase al numero 270 di Park Avenue, un volume alto 1.388 piedi (circa 423 metri) e 60 piani, progettato da Foster + Partners e concepito come «la più grande torre completamente elettrica della città», pensata per azzerare le emissioni operative nette e offrire standard di benessere ambientale assai elevati. È un progetto che si legge su più registri -urbano, tecnologico, simbolico- e che vale la pena analizzare oltre il singolo annuncio. Il nuovo 270 Park Avenue sorge sul luogo dove stette per quasi sessant’anni l’iconico Union Carbide Building di Gordon Bunshaft (Skidmore, Owings & Merrill), costruito nel 1960 e volutamente demolito tra il 2019 e il 2021 per far spazio alla nuova torre. La vicenda -un’operazione edilizia di grande scala che ha visto la rimozione sistematica dell’edificio precedente, il cui costo complessivo si aggira attorno ai 3 miliardi di dollari- ha generato un acceso dibattito tra preservazionisti, professionisti e istituzioni cittadine.
Il nuovo 270 Park Avenue non è solo un primato numerico: è un dispositivo urbano che mette a confronto progettualità, politica, mercato e memoria. A livello globale, segnala come le grandi corporation ridefiniscano i rapporti con le città tramite l’architettura sostenibile e la «civicità programmata». A livello locale, chiede alla città una lettura critica: è possibile conciliare ambizione economica, responsabilità ambientale e cura del patrimonio? Se la risposta sarà affermativa, il nuovo 270 potrà diventare un caso di studio per il XXI secolo. Se negativa, resterà un monito su ciò che si perde quando la città sceglie l’innovazione al prezzo dell’oblio.
Norman Foster e il suo studio hanno cercato di rispondere a due esigenze parallele: rendere l’edificio simbolo della committenza bancaria -solidità, scala, presenza globale- e al tempo stesso restituire qualità urbana e accessibilità pubblica. L’impianto prevede un ampio atrio sorretto da 24 colonne, un piano d’ingresso alto circa 24 metri che si apre sul nuovo spazio pubblico, una serie di set-back che alleggeriscono il corpo verso il cielo e un lavoro accurato sulla luce naturale e sui grandi alveoli interni destinati a uffici flessibili, sale conferenze, ristorazione e un food hall aperto al pubblico. Il progetto è inoltre pensato come hub operativo per migliaia di dipendenti (la stima parla di 10.000 persone trasferite nello stabile), intendendo la torre come epicentro di una riconfigurazione più ampia del complesso urbano attorno a Grand Central. Il complesso è stato presentato come un punto di svolta ambientale per le nuove torri metropolitane: LEED Platinum v4, WELL Health-Safety Rating, funzionamento tutto-elettrico (in ottemperanza alla normativa cittadina che limita i nuovi impianti a gas naturale dopo il 2027) e alimentazione da fonti rinnovabili (idroelettrico). Significativa è anche la gestione del cantiere e del materiale: JPMorgan e i progettisti hanno dichiarato che il 97% dei materiali dell’edificio demolito è stato riciclato, riutilizzato o up-cycled nel processo di costruzione del nuovo volume, un dato che punta a rispondere alle critiche sul consumo energetico e ambientale connesse alle grandi demolizioni urbane. Sul piano pratico, si tratta di un esperimento su scala notevole: la sostenibilità di un edificio così massiccio si gioca tanto nella tecnologia impiantistica quanto nel suo inserimento nella mobilità e nella rete energetica cittadina.
Una delle condizioni per il via libera al progetto — legata al complesso processo di permessi e al Midtown East rezoning — fu il miglioramento dell’arredo urbano e alcuni impegni pubblici di restauro alla struttura ferroviaria sottostante (la train-shed di Grand Central). Il nuovo 270 Park Avenue include quindi una piazza pubblica di circa 10.000 piedi quadrati, opere paesaggistiche, spazi di sosta e aree di ristorazione accessibili ai passanti. Sul piano simbolico, la torre vuole ripensare la relazione tra il potere finanziario e la città: non più torre chiusa su se stessa, ma concepita come «porta» verso il nodo dei trasporti e la rete sociale del Midtown. Resta però aperta la domanda sulla reale qualità di questi spazi: l’esperienza dell’utente comune dirà se si tratta di un’autentica restituzione urbana o di un filtro di lusso che rimodula la fruizione pubblica in chiave commerciale. Le grandi operazioni corporate contemporanee sanno che l’architettura è contemporaneamente ribalta e contenuto di messaggi. L’inaugurazione è stata accompagnata da un programma pubblico, installazioni e l’annuncio di commissioni artistiche destinate agli spazi aperti e alle aree collettive. La presenza di arte pubblica all’interno di un corpo edilizio che ha dietro di sé una storia controversa (la demolizione di Bunshaft) compone un discorso di mediazione: l’arte diventa qui strumento di riconciliazione estetica e politica, oltre che elemento di soft power aziendale. Resta da vedere se le scelte curatoriali saranno realmente radicate nel contesto urbano o risponderanno a una logica di vetrina internazionale.
Il progetto è anche una scommessa sul ritorno alla centralità fisica negli uffici dopo l’esperienza della pandemia. Jamie Dimon ha spesso dichiarato l’importanza per la banca di «stare a New York» e di avere un segno tangibile della sua presenza nel cuore finanziario della città. A livello di mercato immobiliare, l’operazione rafforza la concentrazione di grandi player in un raggio ristretto intorno a Grand Central e introduce nuove dinamiche di concorrenza (si pensi ai grattacieli annunciati nei mesi successivi che mirano a superare la quota del nuovo 270 in altezza), contribuendo a una ridefinizione della skyline e a una nuova geografia del potere economico. Due sono le questioni critiche che rimangono sul tavolo. La prima è quella della memoria architettonica: la capitale culturale del Novecento ha perso un suo pezzo emblematico, e la sostituzione solleva il problema della responsabilità collettiva nei confronti del patrimonio recente. La seconda è la discrepanza tra apertura e privatizzazione: quanta parte di questo nuovo complesso sarà davvero pensata per la città e quanta per un’utenza selezionata? I prossimi mesi di vita pubblica dell’edificio diranno se la torre manterrà la promessa di «spazio condiviso» o se funzionerà principalmente come palcoscenico esclusivo per il mondo finanziario.
270 Park Avenue (Wikipedia)
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