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Una sala della Biblioteca Braidense di Milano

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Una sala della Biblioteca Braidense di Milano

L’immagine distorta delle biblioteche in tv

Nelle pubblicità un mondo ideale che contrasta con la realtà delle chiusure anticipate e dei servizi limitati, sebbene siamo «la prima superpotenza culturale del pianeta»

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Flaminio Gualdoni

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Ohibò, il Governo fa pubblicità alle biblioteche. In uno spot televisivo una signorina d’oggi apre un libro per sfogliarlo, e all’improvviso il suo vestito muta, rendendola ora una dama antica, ora una signora del Settecento e così via. Una pubblicità sobria e volenterosa, che dovrebbe rimettere in contatto fruitori e libri, rendere «simpatiche» le biblioteche.

Come tutte le pubblicità, anche questa parla del mondo come dovrebbe essere, non com’è. Mettiamo di essere qualcuno che le biblioteche le frequenta già, per vizio e per lavoro. Gli basterebbe che esse avessero un orario d’apertura da Paese civile e, come si dice negli avvisi in caso di sciopero, fossero garantiti i servizi essenziali.

Invece, prendo un esempio a caso, anche l’ottima Biblioteca Braidense di Milano chiude tutti i giorni alle 18.15, salvo il sabato in cui chiude alle 13.30: e in ogni caso cessa sempre la distribuzione del materiale librario alle 13. I fondi e il personale, si sa, sono quello che sono, e nozze con i fichi secchi non se ne fanno.

Se è vero che, esagerazione enfatica a parte, come afferma il ministro Sangiuliano siamo «la prima superpotenza culturale del pianeta» e dobbiamo usare il patrimonio per far crescere il Pil, ci tocca fare proprio come fanno tutte le economie non da bar: prima investiamo, poi stacchiamo gli eventuali dividendi. Ogni altra fantasiosa ipotesi, per quanto azzardata, non prevede comunque la moltiplicazione gratuita delle persone che lavorano: se tieni aperta la biblioteca quando e come puoi, invece di una gran dama antica puoi sentirti, al massimo, come un personaggio dell’«Opera del mendicante» di John Gay.

Del resto, nel mondo di oggi vale più l’annuncio di una cosa che la cosa stessa, per cui siamo «la prima superpotenza culturale del pianeta» ma il vizioso che è in me fatica a compiacersi per i concreti destini della Beic, la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura che aprirà, se e quando aprirà, a Milano: il progetto data almeno dal 1999, e ora hanno fatto un altro progetto, più in piccolo, nel marzo 2022, con i fondi del Pnrr: dicono che aprirà nel 2026, dunque, anche credendoci, quasi trent’anni dopo.

Una divertente cronistoria delle puntate precedenti l’aveva fatta Sergio Romano nel «Corriere della Sera» del lontano 22 giugno 2010. Per dire, la nuova sede della BnF François Mitterand a Parigi, con le quattro gigantesche torri progettate da Dominique Perrault, andò a concorso nel 1989 e fu completata nel 1995. La differenza salta agli occhi, macroscopica come quella tra il bufalo e la locomotiva che cantava De Gregori. Vogliamo dirci, per una volta senza trionfalismi, che consentire agli studiosi di studiare fa parte degli investimenti produttivi di un Paese civile?

Una sala della Biblioteca Braidense di Milano

Flaminio Gualdoni, 24 febbraio 2023 | © Riproduzione riservata

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