«At the Clinic» (1979) di George Pemba, Revisions Collection (particolare)

Cortesia della Norval Foundation. © 2024, ProLitteris, Zurigo

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«At the Clinic» (1979) di George Pemba, Revisions Collection (particolare)

Cortesia della Norval Foundation. © 2024, ProLitteris, Zurigo

La «gioia black» al Kunstmuseum Basel

200 opere di 156 artisti degli ultimi cento anni contrappongono l’orgoglio nero agli stereotipi e dimostrano come la realtà nera sia ancora rappresentata in modi falsi e distorti

È Koyo Kouoh, direttrice di origine camerunense dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz Mocaa) di Città del Capo, in Sudafrica, che è stato la prima tappa del progetto espositivo, a curare insieme a Tandazani Dhlakama al Kunstmuseum Basel la mostra «When We See Us. A Century of Black Figuration in Painting», aperta dal 25 maggio al 27 ottobre. L’allestimento è firmato dai progettisti di Città del Capo Wolff Architects

Alla base dell’indagine, in cui 156 artisti rappresentano un arco temporale che copre gli ultimi 100 anni, c’è la volontà di interrogarsi su come la pittura nera abbia elaborato sia nel continente africano sia nei tanti luoghi della diaspora un’analoga esperienza del quotidiano, con particolare attenzione per la dimensione politica dell’orgoglio nero. Il titolo trae infatti spunto dalla miniserie Netflix del 2019 «When They See Us» della regista afroamericana Ava DuVernay, che evidenzia come i giovani neri siano visti a priori come potenziali criminali e quindi come una minaccia sociale. La sostituzione di «They» («loro») con «We» («noi») nel titolo indica un fondamentale cambiamento di prospettiva.

Le oltre 200 opere selezionate da Kouoh e Dhlakama, per la maggior parte mai prima esposte in Svizzera, sottolineano come la realtà nera sia stata e venga tuttora rappresentata in modi omologanti, falsi e distorti. «Sono incuriosita, ma anche un po’ infastidita da tutta questa frenesia di cui la pittura figurativa nera e l’arte nera in generale sono state oggetto negli ultimi dieci anni, afferma Kouoh. In particolare nelle grandi fiere, non c’è mercante o gallerista che non la proponga. Come curatrice so però molto bene che non è una novità: la figuratività è un canone forte di espressione, che c’è sempre stato e sempre rimarrà nella pratica artistica». «Un particolare aspetto che mi interessava esplorare, continua Kouoh, è quella che chiamo estetica parallela, e cioè rilevare come artisti neri della stessa generazione provenienti da aree geografiche diverse abbiano affrontato e continuino ad affrontare argomenti analoghi in modi simili, pur non conoscendosi. Ad esempio, l’artista afroamericano Romare Bearden e il suo contemporaneo sudafricano George Pemba hanno entrambi rappresentato la vita quotidiana, così come l’artista congolese Chéri Samba e l’afroamericano Barclay L. Hendricks sono accomunati non solo dalla stessa generazione, ma anche dalla stessa estetica e dalle stesse atmosfere». 

Le sezioni espositive, di carattere tematico, sono sei: «Quotidianità», «Gioia & Festa», «Riposo», «Sensualità», «Spiritualità» e «Trionfo ed emancipazione». La mostra costituisce un ulteriore tassello del programma espositivo che il Kunstmuseum Basel sta dedicando all’arte afroamericana e ha già motivato le monografie di Theaster Gates, Sam Gilliam, Kara Walker e Carrie Mae Weems. Se però sono finora emerse soprattutto le tematiche legate al trauma del colonialismo, la mostra di Kouoh e Dhlakama propone un approccio differente, che agli stereotipi di violenza, razzismo e crisi contrappone la «gioia black» e un’ottica celebrativa, ricca di dignità e vitalità.

«Wait your turn - Competitive Sisterhood» (2021) di Cinthia Sifa Mulanga. Cortesia di Serge Tiroche e dell’Africa First Collection. © Cortesia della African Arty Gallery

Elena Franzoia, 24 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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