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Alcune opere della Collezione Jablonka allestite nello «Schaulager» di Seefeld. Cortesia di Johannes Plattner

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Alcune opere della Collezione Jablonka allestite nello «Schaulager» di Seefeld. Cortesia di Johannes Plattner

La collezione di Rafael Jablonka cambia casa

Dopo una storia d’amore durata tre anni con l’Albertina, ha trasferito da Vienna tutte le sue opere in una ridente località turistica tirolese, Seefeld, dove sono visibili su appuntamento

Flavia Foradini

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Da bambino sognava di diventare violinista, ma poi studiò ingegneria a Cracovia. Nonostante il clima culturale e artistico assai vivace della città polacca negli anni ’70, la vita di Rafael Jablonka è segnata da diverse svolte. La prima fu il suo trasferimento all’Ovest: «La mia famiglia apparteneva alla borghesia e mi sostenne durante i miei studi, ma non poté più farlo quando emigrai. La Polonia era dietro la cortina di ferro, e io invece volevo vivere nel mondo libero, dove un individuo può decidere da sé la propria esistenza», ci dice su quel passo fondamentale che cambiò tutto, perché nonostante un inizio lavorativo come ingegnere a Monaco, Jablonka si rese conto che ciò che lo avvinceva era altro, e nel 1980 tornò all’università, a Bochum, per studiare storia dell’arte.
Poco attratto dagli sbocchi professionali nel mondo museale, divenne quasi giocoforza gallerista e mercante d’arte, e presto anche collezionista, tre professioni che, ci dice senza vedervi alcuna contraddizione o conflitto, «assieme costituiscono un tutto».

Sono ancora queste le attività cui il 72enne Jablonka si dedica, anche se a prevalere oggi è il collezionismo, che gli ha consentito di raccogliere centinaia di opere (non vuole parlare di numeri), in particolare di arte tedesca e americana degli anni ’80. Una definizione che tuttavia rifiuta: «Non penso proprio in categorie e non m’interessano nemmeno criteri come la nazionalità. Io colleziono opere di alcuni artisti della mia generazione, senza alcuna pretesa di esaustività. E neppure seguendo una certa ideologia. Ogni ideologia significa sempre paternalismo, porre qualcuno sotto tutela. Anche gli -ismi non mi interessano. Ciò che conta per me sono solo i pochi nomi che mi accompagnano da anni». Quando si tratta di acquisire un’opera, ci dice, «non sono io che decido, è l’opera che decide. Una scelta significherebbe che si hanno diverse opzioni. Ma un’opera la incontri come un individuo, in un rapporto uno a uno. Tutto il resto è una conseguenza di quell’incontro».

Nella rilevanza sociale dell’arte nel mondo odierno, Jablonka non crede: «Oggi l’arte è considerata una nota a piè di pagina. Che rilevanza sociale hanno una natura morta di Cézanne, un’odalisca di Matisse, un dipinto di Barnett Newman, una scultura di Judd, un autoritratto di Francis Bacon?». Per la sua collezione i curatori non gli servono, ci dice ancora: «Sono io il mio consulente. E per chiarirci: io colleziono, non investo. Collezionare significa anche vedere ed è un’attività che ha bisogno soprattutto di tempo, e il tempo notoriamente non lo si può comprare». In quanto collezionista si fa guidare da alcune regole: «Fare cose inaspettate, uscire dalla fila, sorprendersi da sé, contraddirsi da sé, evitare qualsiasi routine, dubitare, fare deviazioni e anche fallire, se necessario». Una sorta di codice di condotta che l’ha portato lontano dalla linearità e dalla sistematicità, a favore di scelte dettate dal gusto personale. L’ultima sua acquisizione è «Judaic Painting», di Philip Taaffe, uno degli artisti che ha scelto come compagni di strada. «Ho aspettato quest’opera per sei anni».

Nell’aprile del 2019, un anno dopo la chiusura della sua galleria a Colonia, ecco una nuova svolta: l’affidamento in comodato all’Albertina di Vienna di 400 opere della sua collezione. Un evento festeggiato come stellare, visto che molti musei e istituzioni in Länder tedeschi avevano sperato di diventare porti sicuri per quella collezione. Ma Jablonka aveva scelto Vienna. Il direttore Klaus Albrecht Schröder si era profuso in lodi a tutto campo per quel colpo andato a segno. Ne erano seguite tre mostre.
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Poi però una nuova svolta repentina, poche settimane fa, quando un convoglio ha lasciato l’ex Museo Essl (divenuto deposito dell’Albertina), portando via tutta la collezione che vi era immagazzinata. Destinazione: Seefeld, la ridente località turistica tirolese, dove Jablonka ha preso casa. Un divorzio che ha fatto il botto: «Vienna è una città che amo, e amo l’Albertina, ma non tutte le storie d’amore portano a un rapporto duraturo», è il suo scarno commento. Gli riferiamo quanto abbiamo appreso chiedendo informazioni al museo: quel loro contratto di comodato non prevedeva un’esposizione permanente dalla collezione, anche se Jablonka lo avrebbe desiderato e, semplicemente, l’Albertina «non ha spazio sufficiente», visto che negli ultimi tempi ha ricevuto diverse donazioni: da Georg Baselitz, Joel Sternfeld, Jim Dine, Alex Katz, oltre ad alcune altre opere, per un valore complessivo di 58 milioni di euro. Per cui, in termini di attenzione e possibilità di esposizione, «le collezioni donate hanno la precedenza su quelle in comodato».

Gli chiediamo dunque se pensa si tratti di un invito neanche tanto indiretto da parte di Klaus Albrecht Schröder a donare la sua collezione: «Io posso donare la mia collezione solo dopo la mia morte, perché l’arte è quasi tutto quello che ho. Ma verrà un giorno in cui un museo (ma non uno qualsiasi) si riterrà fortunato di poter offrire una casa a questa collezione. Comunque, ciò che dicono all’Albertina è corretto. È un peccato che sia finita la nostra collaborazione, di cui comunque sono felice, in particolare della competenza e dell’impegno di Klaus Albrecht Schröder. Però devo dire che è bello riavere vicino a me quei dipinti, quelle sculture, quei disegni e quelle fotografie, anche se temporaneamente. Mi sono mancati, perché la mia vita significa anche vedere». Perché temporaneamente? «Presumibilmente la mia collezione un giorno andrà in qualche luogo in forma permanente e qualcuno magari dirà: “però se avessimo...”».

In vista di sviluppi futuri, la piccola Seefeld pare intanto diventare sempre più il centro dell’attività anche professionale di Jablonka. Già nel 2021 vi aveva fondato l’Associazione per la Promozione dell’Arte Contemporanea KiS (Kunst in Seefeld), aprendo nell’ex sede locale dei vigili del fuoco uno spazio espositivo, grazie al sostegno del comune alpino e del Land Tirolo e la messa a disposizione dell’edificio fino al 2028, per due mostre all’anno.
Nel comitato direttivo dell’associazione il gallerista Clemens Rhomberg e alcuni investitori, fra cui Hans Peter Haselsteiner, l’imprenditore e collezionista che aveva salvato parte della collezione Essl acquistandola, e che aveva restaurato a proprie spese l’edificio della Künstlerhaus a Vienna, divenuta sede dell’Albertina Modern.

E ora la svolta più recente: a Seefeld la collezione tornata dalla capitale è stata velocemente alloggiata in 500 metri quadrati al piano terra di un ex edificio industriale ribattezzato, con basso profilo, «Schaulager» (un deposito aperto alla visione, Ndr), in cui Jablonka l’ha riallestita seguendo il proprio estro, per mostrarla solo a gruppi ristretti e dietro prenotazione. Le opere verranno esposte a rotazione. Per i primi mesi del 2024, fra gli artisti scelti figurano Miquel Barceló, Francesco Clemente, Philip Taaffe, Terry Winters, Andreas Slominski, Sherrie Levine, Eric Fischl, Richard Avedon, Jasper Johns, Andy Warhol, Joseph Beuys, Donald Judd. Una nuova sfida che sta facendo di Seefeld un fulcro di proposte artistiche, in attesa di altre svolte e di altri palcoscenici per sé e la propria collezione: «Io non ho fretta, il tempo è dalla mia parte», conclude Rafael Jablonka.

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Flavia Foradini, 21 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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