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Laura Lombardi
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Una retrospettiva per il centenario di Nigro
«Una ricerca estetica come struttura intima dell’uomo»: così Mario Nigro, di cui ricorrono i 100 anni dalla nascita, definiva, nel 1969, il suo operare. Fin dal secondo dopoguerra l’artista (Pistoia, 1917 - Livorno, 1992) segue la via dell’Astrattismo, muovendo verso soluzioni sempre inedite, cromatiche e spaziali (ricordiamo la serie delle opere «Spazio Totale» e la sala presentata alla Biennale di Venezia del 1968), che pur rivelano uno sguardo ai movimenti di quegli anni, dall’Astrattismo al Costruttivismo, dall’arte americana del secondo dopoguerra all’Optical art. Alcuni dipinti mostrano una precoce sensibilità verso ulteriori sviluppi del panorama internazionale.
L’ultimo decennio ha visto un crescente interesse per Nigro e la Fondazione Centro Studi sull’Arte Carlo e Licia Ragghianti propone una mostra antologica dei suoi capolavori. Curata da Paolo Bolpagni e Francesca Pola, in collaborazione con l’Archivio intitolato all’artista, «Mario Nigro. Gli spazi del colore» è aperta fino al 7 gennaio e proseguirà nella primavera-estate alla Fondazione Ghisla Art Collection di Locarno. Di formazione chimico e farmacista, Nigro, pur rinunciando solo dal l958 alla sua attività principale, aderisce già nel 1949 al gruppo Movimento Arte Concreta (Mac).
A contestualizzare la poetica di Nigro nella scena internazionale sono in mostra opere di Max Bill, François Morellet, Heinz Mack, Sol LeWitt, Roman Opalka, Fred Sandback e Niele Toroni: un dialogo fecondo sebbene Nigro, nel ricondurre strutture e forme estetiche del quadro a regole fondamentali, conservi sempre, da italiano, le leggi della misura classica.
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