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Margherita Panaciciu
Leggi i suoi articoliA partire da mercoledì 4 settembre (sino al 7 settembre), quindi un giorno prima dell’apertura di The Armory Show, Independent 20th Century, spalanca le sue porte all’interno della storica Casa Cipriani, nel cuore del Battery Maritime Building, portando con sé non solo un’attenta selezione di opere del XX secolo rilette da gallerie internazionali, ma anche un programma culturale che ne rafforza l’identità come spazio critico e generativo. Gli espositori sono solo una trentina, la maggior parte americani, ma c'è anche qualche realtà che proviene da oltreoceano come le svizzere Galerie Gmurzynska (con sede pure a New York) e Lovay Fine Arts, le londinesi Hales (con sede pure a New York) e Michael Hoppen Gallery e l’indiana Jhaveri Contemporary, solo per citarne qualcuna.
Le conversazioni dal vivo, fiore all’occhiello di Independent 20th Century
Curata in collaborazione con la testata Puck, da tenere sott’occhio la serie di conversazioni dal vivo che riflette l’anima dialogica della fiera, approfondendo temi che spaziano dall’eredità degli artisti visionari alla sostenibilità del sistema, fino al ruolo futuro delle istituzioni culturali. Il calendario si apre con un evento speciale durante il VIP Preview Day: una conversazione tra Emilia Kabakov e Robert Storr, che ripercorrerà l’opera monumentale e intimamente politica di Ilya ed Emilia Kabakov, figure centrali della scena concettuale post-sovietica. Questo dialogo, che attraversa utopie infrante e memorie collettive, accompagna la presentazione della loro opera alla fiera da parte della Galerie Brigitte Schenk.

Elda Cerrato, «Geohistoriografia realidad y sueños de América», 1975 © The Estate of Elda Cerrato. Courtesy Galerie Lelong, New York and Independent
Il giorno successivo, venerdì 5 settembre, si entra nel vivo del programma con la tavola rotonda Stewards of Legacy, che riunisce quattro direttori museali – Nora Lawrence, James Steward, Cybele Maylone e Nicola Lees – per riflettere sul significato e sulle sfide del dirigere un museo nel 2025: tra nuove forme di coinvolgimento del pubblico, pratiche curatoriali partecipative e ridefinizione delle narrazioni storiche. Moderata da Marion Maneker, corrispondente artistica di Puck, la sessione affronta il presente dei musei come luogo vivo, non neutrale, nel dibattito culturale.
Sempre venerdì, torna Downtown Dealers, la serie che fa dialogare mercanti d’arte di generazioni diverse. Protagoniste di questo appuntamento sono Jeanne Greenberg Rohatyn, fondatrice di Salon 94, e Alma Luxembourg, partner di Luxembourg + Co.: due figure che, da prospettive distinte, hanno saputo ridefinire il mercato e il modo in cui l’arte dialoga con il collezionismo, l’editoria e l’architettura espositiva.

Balraj Khanna, «Pond on Hampstead Heath», 1986. Courtesy of the Estate of Balraj Khanna and Jhaveri Contemporary.
Sabato 6 settembre si apre con un omaggio ai Chicago Imagists, movimento postbellico atipico e ironicamente pop, discusso da Ian Berry del Tang Museum, insieme a John Corbett e Jim Dempsey, galleristi e coautori del libro 3-D Doings. A seguire, un incontro dedicato alla figura schiva ma significativa di Nicol Allan, artista del collage e dell’astrazione intima, con Rye Dag Holmboe e Yuval Etgar, che ne esploreranno le connessioni inedite con Alexander Calder, in occasione della doppia mostra di Luxembourg + Co.. Alle 17 dello stesso giorno, riflettori puntati su The Art Angle, il podcast di Artnet News, registrato dal vivo davanti al pubblico della fiera. Ospiti della puntata speciale Ben Davis, Kate Brown e Matthew Higgs, che esploreranno come una nuova generazione di gallerie indipendenti stia riscrivendo i canoni dell’arte del Novecento, tra pratiche critiche e risignificazioni storiche.
Domenica 7 settembre, ultimo giorno, la fiera si chiude con due appuntamenti incentrati sull’urgenza del presente. Nel primo, l’artista Judy Pfaff, pioniera delle installazioni ambientali, si confronterà con Joe Fig sul processo creativo e sull’arte come forma di immersione e di costruzione di mondi personali, in parallelo con la sua mostra da Cristin Tierney Gallery. L’ultimo panel, Building a Greener Art World, vedrà invece protagonisti l’artista Robin F. Williams, la giornalista Annabel Keenan e l’ingegnere Pawel Woelke, in una discussione condotta da James Hendy di Crozier, dedicata alla sostenibilità nell’arte, tra attivismo, strategie di decarbonizzazione e nuove responsabilità istituzionali. Independent 20th Century riafferma la necessità di una piattaforma che metta al centro la complessità della storia dell’arte e la possibilità di rileggerla con occhi nuovi, insomma un'occasione per chi, durante la New York Art Week cerca un terreno fertile di scambio e di pensiero.

Luis Frangella nel suo studio, 1984. Ohoto: Andreas Sterzing. © Andreas Sterzing. Courtesy of Cosmocosa and Independent
Gallerie ed artisti
La fiera d'altra parte offre una proposta curata e coerente che continua a interrogare i confini della modernità, rivelando voci spesso rimaste ai margini del canone ufficiale ampliando la narrazione dell’arte del XX secolo. Circa 40 artisti sono presentati attraverso mostre personali, in coppia o collettive, offrendo uno sguardo denso e stratificato sulla complessità del secolo scorso. Uno dei fili conduttori dell’edizione 2025 è il recupero di figure cruciali attraverso una serie di presentazioni personali che illuminano angoli meno battuti della storia dell’arte moderna. Georges Rouault, presentato da Nahmad Contemporary e Skarstedt Gallery, emerge come una figura solitaria e spirituale, con le sue opere dense di pathos che evocano la vetrata medievale. Elda Cerrato, in mostra alla Galerie Lelong, porta in scena un’arte che attraversa epoche e geografie, tra cosmologie interiori e realtà politiche latinoamericane. La riscoperta di Dan Basen da parte della Galerie Gmurzynska ci riporta a un fermento newyorkese pre-Warholiano, mentre Ken Kiff, in mostra da Hales, incarna una riflessione profonda sul rapporto tra arte e museo, con il suo «National Gallery Triptych» al centro dell’attenzione.
Leonor Fini, pioniera della libertà espressiva femminile e artista radicalmente indipendente, viene celebrata dalla Weinstein Gallery con opere visionarie e teatrali che sfuggono a ogni classificazione. Gertrude Greene, protagonista da Rosenberg & Co., restituisce dignità storica all’astrattismo americano delle origini, così come Raymond Jonson – «riscoperto» dalla Addison Rowe Gallery – riafferma il legame tra arte, spiritualità e territorio nel contesto del sud-ovest statunitense. Joe Zucker, presentato da Jupiter, offre invece un viaggio nella materialità concettuale della pittura americana, mentre Bruce Richards, in mostra da Sea View, riflette sul trauma collettivo e personale con un’iconografia densa e stratificata.
Parallelamente, la scultura e l’installazione trovano spazio in dialoghi intergenerazionali. Judy Pfaff alla Cristin Tierney Gallery continua a sfidare la distinzione tra medium, proponendo installazioni che sono veri e propri organismi tridimensionali. Ilya ed Emilia Kabakov, presentati da Galerie Brigitte Schenk, portano in scena un capolavoro concettuale del 1983, «Little White Men», che mescola alienazione e satira politica. Le prime opere scultoree di Jyll Bradley, in mostra da Pi Artworks, raccontano una storia di identità e riconoscimento tardivo, mentre Jacci Den Hartog, con Tureen, reintroduce la corporeità nella scultura degli anni ’90 con una sensibilità visiva e psicologica unica. Un momento particolare è segnato dal ritorno di Tony Shafrazi in fiera dopo oltre un decennio, con una presentazione che mette in dialogo Brandon Deener e Zadik Zadikian. L’installazione «Made in USA», composta da lingotti dorati, riapre ferite storiche e memorie censurate, evocando la rivoluzione iraniana e la fragilità del tempo.
La sezione dedicata agli artisti autodidatti aggiunge un ulteriore livello alla narrazione. Balraj Khanna, riscoperto da Jhaveri Contemporary, mostra un astrattismo vibrante, erede di una diaspora silenziosa. Odoteres Ricardo de Ozias, in mostra da Galeria Danielian, incarna l’anima afro-brasiliana più profonda, trasformando materiali poveri in visioni luminose. I Florida Highwaymen, presentati da Jeremy Scholar, raccontano invece la forza creativa nata nella marginalità del Sud segregazionista, con paesaggi dipinti al margine della storia ufficiale.
L’America Latina è ben rappresentata anche da figure come Luis Ouvrard, in mostra da Calvaresi, e Luis Frangella, celebrato da COSMOCOSA. Il primo esplora la memoria ibrida di un’Argentina rurale attraversata da visioni europee, il secondo ci restituisce l’urgenza espressiva dell’East Village negli anni Ottanta, tra architettura, dolore e resistenza. Uno degli aspetti più significativi di questa edizione è il rilievo dato alle artiste arabe moderniste. Con una doppia presenza – da Salon 94 e Richard Saltoun Gallery – vengono riscoperti nomi fondamentali come Dorothy Salhab Kazemi, Huguette Caland, Afaf Zurayk e Baya. Le loro opere, in equilibrio tra astrazione, corpo e decolonizzazione, risuonano oggi come veri atti di coraggio. In particolare, la mostra collettiva di Salon 94 propone una riflessione attuale sulle soggettività femminili nel mondo arabo moderno, mentre la presenza di Baya, pseudonimo dell’artista algerina Fatma Haddad, riapre il dialogo con la storia dell’arte parigina post-bellica, ponendo in discussione i criteri eurocentrici del riconoscimento artistico.
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