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Fondazione Angelo Bozzola, sala anni ’50

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Fondazione Angelo Bozzola, sala anni ’50

Il visionario mondo di Angelo Bozzola

500 opere esposte e più di 2mila custodite, un nuovo parco con 20 sculture monumentali immerse nel verde e il catalogo ragionato in uscita nel 2024

Olga Gambari

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È una figura ancora tutta da scoprire quella dell’artista novarese Angelo Bozzola (1921-2010). Un lavoro storico che attraversa il secondo Novecento partecipando alle esperienze artistiche più vitali e di ricerca, sempre con una propria chiave personale connotata da una forte sperimentazione e da una libertà creativa. Un visionario che non aveva bisogno di disegni preparatori perché era già tutto nella sua mente, le opere si facevano direttamente dalle sue mani, esperte di linguaggi, tecniche e materiali. Senza mai sbagli né scarti, perché ogni elemento avanzato dalle lavorazioni veniva impiegato in un altro successivo, con un’idea di riciclo ante litteram.

La Fondazione Angelo Bozzola, che ne racconta e documenta la vita e le opere, è gestita dagli eredi e ha la sua sede a Galliate, negli spazi dove Bozzola visse, tra la casa, la falegnameria del mobilificio di famiglia e il suo studio. Una fondazione che nasce nel 1997 per volere dell’artista, con una donazione iniziale di 200 opere tra disegni, olii, sculture e oggetti di design, e che ora è arrivata a raccoglierne oltre 2mila, tra l’archivio e gli spazi espositivi diffusi su mille metri quadrati.

La fondazione si è ampliata per accogliere un maggior numero di opere, con un riallestimento generale e la realizzazione di un parco espositivo dove una ventina di sculture monumentali dialogano con le sale interne. Oltre che con una serie di mostre, la fondazione è diventata operativa anche attraverso l’apertura al pubblico, sostenendo parallelamente un grande lavoro sull’archivio, tra approfondimenti e digitalizzazione, e il progetto per un catalogo ragionato su Angelo Bozzola, a cura di Francesco Tedeschi, in uscita a fine 2024 per Electa.

Entrando nelle sale, risalta subito l’elemento protagonista dell’opera di Bozzola, una forma che sembra legare ogni lavoro, dalla pittura al bassorilievo alla scultura. Una forma che rotola ed evolve in infinite metamorfosi nel tempo e nello spazio, nelle pratiche, nei molti materiali impiegati. È la monoforma trapezio-ovoidale, un trapezio irregolare i cui vertici sono congiunti da una linea curvilinea: «perfetta in sé stessa per la sua geometrica essenzialità, tale forma mi si é rivelata e proposta quale modulo tematico ed elemento costruttivo per ogni mia ulteriore creazione pittorica e plastica», spiegava.

Un modulo e una firma insieme, messo a fuoco sin dall’inizio, dalla sua appartenenza al Mac, il Movimento per l’arte concreta, membro attivo del comitato esecutivo insieme a Gianni Monnet, Gillo Dorfles, Grazia Varisco, Regina, Bruno Munari, Gianni Colombo e Luigi Veronesi. La necessità espressa dal Mac di un senso concreto della realtà materiale con cui l’artista deve esprimersi, come sostanza, definizione formale e presenza nel mondo, Bozzola la racchiuse in questa forma, una germinazione spontanea della sua esperienza biografica, cioè la fondazione di un mobilificio dopo la seconda guerra mondiale, un lavoro dove forma, funzione e materia erano la base, così come la progettazione industriale.

Dai primi anni ’50 Bozzola si accosta all’arte, alla pittura prima, con un approccio rigorosamente astratto-geometrico, che ispirerà anche la sua pratica scultorea. Il percorso espositivo si anima con 500 opere ordinate cronologicamente. Un corpus che sviluppa con lo spettatore un dialogo concettuale e fisico allo stesso tempo, sempre alla ricerca del contatto, secondo quel valore fondamentale che per Bozzola era l’inclusione del pubblico e del paesaggio, essere una parte del tutto.

Sono esemplari le opere d’acciaio inox a specchio che già nel 1954 volevano accogliere e riflettere chi le guardava, così come le grandi sculture pensate per essere immerse nel paesaggio e connotate da aperture per non occludere, ma far passare la luce mimetizzandosi con l’ambiente in una fusione sinestetica. La sua idea di arte era viva e mutevole, una metamorfosi plastica costante con la realtà che la rendeva diversa in ogni momento.

Opere innovative che si relazionano in maniera interattiva con il fruitore, figura co-autoriale a cui era rivolta un’altra serie importante del 1959, le sculture liberamente componibili, catene di moduli che potevano essere assemblate e composte a piacere, sospese o poste a terra, secondo uno sguardo affine a quello di Munari, compagno di strada e amico. Un concetto di scultura che lo seguirà tutta la vita, tra costruzioni dalla struttura mai fissa e mobiles dalle dimensioni diverse.

Negli anni ’60 conosce Michel Tapié e inizia tra loro uno scambio intellettuale e un intimo rapporto personale, che porta Bozzola a entrare nell’International Center of Aesthetic Research di Torino e ad aderire al Manifesto Baroque Ensembliste, insieme a Tadashi Suzuki, Ada Minola, Carla Accardi, Lucio Fontana, Alfonso Ossorio e Giuseppe Capogrossi. È il periodo delle lamiere metalliche, ricamate e colorate con la fiamma ossidrica come se fosse una matita, un pennello; della «Tecnoscultura operazionabile», prototipo d’arte cinetica, interattiva e programmata.

La sua monoforma trapezio-ovoidale continua a evolvere e moltiplicarsi nei decenni come un modulo dalle infinite possibilità, una sorta di ossessione che muta in una gemmazione di composizioni, colori e materiali, creando un alfabeto segnico e calligrafico da Tapié definito algoritmico. Nuovi codici che negli anni Settanta producono il ciclo di opere «Spazio-Tempo», fitte superfici ricoperte da centinaia di miniature in positivo-negativo della sagoma della monoforma, mentre negli anni Ottanta i bassorilievi con cui incide la sua forma su carta, granito, marmo e altre pietre.

Infine, il colore, elemento fondamentale nel suo lavoro, un colore che si faceva da solo, che trovava in natura, stupefatto dalle tonalità delle pietre, dalle possibilità dei metalli trattati con la fiamma ossidrica. La sua tavolozza cromatica era vivace e potente, non decoro ma energia e significato. A Galliate, ci sono una fondazione e un artista che meritano una visita e una scoperta perché attraverso la figura di Bozzola riemergono anche storie e ricerche che furono crocevia dell’arte contemporanea.

Fondazione Angelo Bozzola, sala anni ’50

Fondazione Angelo Bozzola, giardino

Fondazione Angelo Bozzola, palazzo della Fondazione

Olga Gambari, 04 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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Il visionario mondo di Angelo Bozzola | Olga Gambari

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