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Elena Franzoia
Leggi i suoi articoliIl Prado e gli Uffizi sono i musei che conservano il maggior numero di opere in cui compaiono persone affette da acondroplasia (la forma più diffusa di nanismo), esposte nel 2016 in una sezione della mostra «Buffoni, villani e giocatori alla corte dei Medici» a Palazzo Pitti. Da essa derivò un convegno i cui atti sono ora raccolti nel volume curato, come la mostra, da Anna Bisceglia.
Di stringente attualità, il libro delinea non solo un’inedita storia dell’arte e della letteratura, ma anche un poco conosciuto spaccato sociale. Rari e costosi «oggetti di lusso» in epoca romana, i nani assumono ruoli contraddittori dal Quattro al Settecento, diventando buffoni di corte, confidenti dei regnanti e, come tali, ritratti da artisti come Mantegna, Tintoretto (nella foto, «Scipione Clusone con il suo paggio nano») e Velázquez. Esemplare la vicenda del nano Morgante vissuto alla corte di Cosimo I de’ Medici, protagonista di opere come il doppio ritratto di Bronzino oggi alla Pinacoteca Palatina.
E proprio qui sta il nocciolo del problema, evidenziato dal presidente dell’associazione Aisac Odv Marco Sessa: «Essere nani significa vivere costantemente con un retaggio culturale secolarizzato e molto radicato, perché prima di tutto siamo personaggi provenienti dall’immaginario collettivo. Il dover guardare il mondo e gli altri da una prospettiva dal basso verso l’alto, e viceversa, evoca sempre la condizione di infantilizzazione e un’intollerabile sensazione di inferiorità».
Storie di piccoli uomini. Un dialogo interdisciplinare sull’acondroplasia nel corso dei secoli,
a cura di Anna Bisceglia, 96 pp., ill. b/n e 19 tavv. col. f.t., Polistampa, Firenze 2021, € 13

«Scipione Clusone con il suo paggio nano» (1561) di Tintoretto
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