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Sergio Donadoni. Foto: Museo Egizio Torino

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Sergio Donadoni. Foto: Museo Egizio Torino

Il mestiere dell’archeologo | Sergio Donadoni

Con Giuseppe M. Della Fina ripercorriamo traguardi e insuccessi di alcuni archeologi che dalla metà dell’Ottocento ad oggi hanno lasciato un diario, un’autobiografia o semplici appunti di ricordi, contribuendo allo sviluppo dell’archeologia come scienza storica

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Giuseppe M. Della Fina

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Vorrei iniziare il ritratto di Sergio Donadoni (Palermo, 1914-Roma, 2015), uno dei maggiori egittologi italiani, rammentando una sua descrizione del paesaggio delle Piramidi negli anni ’30 del Novecento. La si può leggere in apertura del catalogo della mostra «Tra le palme del Piceno. Egitto terra del Nilo» allestita, più di vent’anni fa, a San Benedetto del Tronto a cura di Alessandro Roccati e Giuseppina Capriotti Vittozzi.

Ecco alcune righe: «Dal Cairo si prendeva un tram per andare a Giza. Erano tram molto caratteristici, con file di sedili all’aperto, e che comportavano anche un “harem” per le signore (…). Da Giza si prendeva un altro tram e si partiva per un lungo percorso in campagna. Le piramidi apparivano lontane, ci voleva tempo a raggiungerle, ci si preparava all’incontro ed erano circondate da solitudine. Ma poi si poteva scalarle, sentire la dimensione dei singoli blocchi, ansimare fino alla vetta». Ho indugiato su questa descrizione dato che riesce a rendere l’atmosfera di una stagione delle ricerche e, al contempo, suggerisce la qualità della scrittura di Donadoni.

Egli arrivò in Egitto per la prima volta nel 1935, dopo gli anni universitari e un soggiorno a Parigi, dove conobbe la grande archeologa francese Christiane Desroches, che, in una lunga e interessante intervista concessa ad Antonio Gnoli («la Repubblica», 21 giugno 2015), ricorda come una donna eccezionale, alla quale piacevano due cose nella vita: scavare e ballare. Lei fu la prima donna a guidare una missione di scavi nel 1938 ed ebbe un ruolo decisivo nella salvaguardia del patrimonio artistico della Nubia alla fine degli anni ’50 del Novecento arrivando a coinvolgere André Malraux nella battaglia culturale.

Donadoni era nato a Palermo nel 1914, il padre di origine bergamasca, era un insegnante universitario di Letteratura italiana e morì prematuramente nel 1924. La famiglia, nel frattempo, si era trasferita a Pisa e lì avvenne la sua formazione arrivando a prendere la maturità a soli 16 anni e ad essere ammesso alla Scuola Normale. Anzi il giovane pensò di non entrare, ma fu Giovanni Gentile a insistere perché lo facesse.

Donadoni ha ricordato il primo incontro con l’Egitto: avvenne nelle sale con antichità egizie del British Museum visitato insieme alla madre, insegnante d’inglese. Quindi vi furono la laurea conseguita a Pisa con Evaristo Breccia, che aveva diretto il Museo di Alessandria d’Egitto, il soggiorno parigino e l’avvio di una fortunata carriera accademica che lo portò a insegnare nelle Università di Milano (Statale), Pisa, Roma («La Sapienza») e a divenire membro di istituzioni prestigiose: l’Accademia Nazionale dei Lincei, la Pontificia Accademia Romana di Archeologia, l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres, l’Accademia delle Scienze di Torino per citarne alcune.

Numerose sono state nei decenni gli scavi che ha diretto: in Egitto, in Nubia e in Sudan. Le sue pubblicazioni sono numerose e toccano aspetti diversi dell’Egittologia dalla religione alle vicende storiche e artistiche, dai resoconti delle campagne di scavo alla storia della disciplina. Ci si può limitare a ricordare la sua prima monografia ripubblicata più volte: L’arte egizia (Einaudi, Torino 1955), che suscitò l’interesse di Bernard Berenson.

Nei suoi studi si può rintracciare un filo rosso: il tentativo di offrire una lettura diversa della civiltà egizia non trasformandola in una metafora del funebre sulla base della sola analisi delle tombe e dei reperti funerari rinvenuti, ma, al contrario, considerarla una civiltà dalla vita animata da uomini e donne di una cultura vasta e profonda. Come ricordò, ancora una volta, nel colloquio concesso a pochi mesi dalla sua scomparsa avvenuta nel 2015, a 101 anni. Significativo, in proposito, è il titolo di un altro noto libro che ha curato e pubblicato in diverse lingue europee: L’uomo egiziano.

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Giuseppe M. Della Fina, 25 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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