Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Maurita Cardone
Leggi i suoi articoliLa cultura può essere strumento per preservare le comunità e le loro tradizioni. È quanto sta succedendo a Santa Rosa de Cuevo, un paesino di 800 abitanti nelle Ande boliviane, dove un festival creato da un artista ed ex medico italiano sta aiutando la comunità locale a valorizzare la propria cultura. Lui è Mimmo Roselli, ostetrico ginecologo che, alla soglia dei 40 anni, decise di lasciare la professione per fare l’artista a tempo pieno e che, dagli anni ’80, ha legato la sua vita a queste terre, prima portando il suo contributo come medico, poi come artista. Nel 2007 ha creato il Santa Rosa Festival che quest’anno, prima edizione postpandemica, si svolge dal 12 al 26 marzo.
L’idea nasce da lontano, da una lunga chiacchierata notturna e dalla scoperta di luoghi e popoli il cui equilibrio è stato da tempo turbato: «Parlammo per una notte intera io e padre Tarcisio, racconta Roselli riferendosi al frate francescano che da decenni opera in quelle zone, per portare assistenza sanitaria e non solo. Alla fine della notte mi invitò in Bolivia e, nel 1985, a 33 anni, andai per la prima volta a trovarlo. Il frate si dedicava alla sanità in ambito rurale, nelle zone dove vivono i Guaraní. Tornai in Italia e, stimolato da Tarcisio, contattai il Dipartimento di malattie infettive dell’Università di Firenze e il primario si entusiasmò. Nacque così un gruppo che ancora oggi si occupa di malattie infettive in Bolivia con un accordo firmato con il Ministero della Sanità boliviano».
Ma non era solo l’aspetto sanitario a interessare Roselli: l’artista aveva notato altri bisogni nella comunità locale. «Già da quella mia prima visita iniziammo a parlare della mancanza di cultura in quei luoghi, riflettendo sul fatto che, senza cultura, si guarisce peggio», spiega. Nacque così l’idea di fondare una scuola dove i giovani della zona potessero formarsi nell’ambito delle arti e dell’artigianato. Ci vollero vent’anni ma alla fine il sogno diventò realtà e nel 2007 nacque la Escuela de Arte y Música del Chaco Boliviano, i cui corsi di musica e arte tessile sono frequentati da ragazzi dai 5 ai 18 anni. Poi venne l’idea di aprire le porte per condividere con la comunità quello che si faceva nella scuola.
Nacque così, nel 2016, con il coinvolgimento di un gruppo di artisti locali, il Santa Rosa Festival che permette alla scuola di mettere in mostra quanto viene creato nel corso dell’anno e alla comunità di entrare in contatto con artisti internazionali, in ambiti come musica, arti visive, teatro, danza, letteratura, cinema e antropologia culturale. Nella prima parte delle due settimane del festival, a Santa Rosa arrivano artisti in residenza che lavorano con la popolazione locale, coinvolgendo soprattutto i giovani, per creare i lavori che saranno poi mostrati al pubblico nei tre giorni finali e cercando il più possibile di lavorare con materiali disponibili sul luogo.
Parte importante del festival fin dalle prime edizioni sono stati i murales realizzati sulle case di Santa Rosa usando colori preparati dagli abitanti con terre, pietre, erbe, radici e frutti. Al punto di incontro tra concettuale e semplicità, l’arte che ne risulta è frutto di intersezioni tra le diverse discipline artistiche e della collaborazione tra artisti e comunità. Alcuni degli artisti locali coinvolti proseguono la collaborazione con la scuola per l’intero corso dell’anno, come avviene per esempio con il Pequeño Teatro de Bolivia di La Paz.
Sede principale del festival è il Monastero di Santa Rosa. «Qui, durante la Guerra del Chaco, i Guaraní si rifugiarono per sfuggire alle truppe dello Stato di Bolivia che volevano annientarli», racconta Roselli, il quale, con le sue iniziative, ha contribuito a una parte dei lavori di restauro della struttura. Quest’anno per la prima volta il festival uscirà da quelle mura per coinvolgere anche altri centri della zona, fino ad arrivare a Santa Cruz de la Sierra, la città più grande della Bolivia.
Tra gli artisti che arriveranno a Santa Rosa per questa edizione ci saranno, tra gli altri, il coreografo italiano Virgilio Sieni, direttore della Biennale Danza dal 2013 al 2015, il newyorchese Robert Aitchison, la musicista e artista visiva brasiliana Mariana Carvalho e gli antropologi Franco La Cecla e Anna Castelli che realizzeranno un documentario con il coinvolgimento della comunità locale. «Abbiamo con noi anche un gruppo indigeno della comunità di Itanambikua, che lavora per preservare le tradizioni del popolo Guaraní legate a musica, danza e teatro. Nel 2019 proposi loro di continuare nella tradizione, ma iniziando a toccare anche il contemporaneo. La produzione fu eccellente e quest’anno continueremo a lavorare in questa direzione», racconta ancora Roselli. Finito il festival, Roselli vuole dedicarsi al progetto di rendere pubblica la scuola e creare corsi di specializzazione.

Il Santa Rosa Festival nel 2019
Altri articoli dell'autore
Al Broad Museum oltre 30 opere dell’artista di origine Choctaw e Cherokee, che nel 2024 ha rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia: una denuncia delle violenze, anche culturali e geografiche, subìte dal suo popolo
«Abbiamo un nuovo microscopio stereoscopico, uno studio dedicato, una falegnameria, spazi per la lavorazione dei metalli e per la verniciatura, e presto ci sarà una pulitrice laser», spiega il conservatore capo del museo Joseph Godla
Xavier F. Salomon racconta come, tornando nella sede storica dopo il trasferimento temporaneo, la collezione rivedrà soprattutto la propria programmazione: più arte contemporanea, ma anche musica classica contemporanea
Controllo dell’immagine e simbolismo autoritario: la fotografia come strumento di narrazione nella dimensione politica americana