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«Le chemin de fer» (1873), di Édouard Manet. © Cortesia della National Gallery od Art, Washington

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«Le chemin de fer» (1873), di Édouard Manet. © Cortesia della National Gallery od Art, Washington

Il Musée d’Orsay ricostruisce la prima mostra impressionista

Per l’anniversario di uno dei più famosi e celebrati movimenti artistici, il museo parigino riallestisce l’esposizione che nel 1874 riunì giovani artisti «affamati di indipendenza»

Luana De Micco

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Mentre in tutta la Francia si celebrano i 150 anni dell’Impressionismo, è al Musée d’Orsay che si apre questo mese l’appuntamento probabilmente più atteso dei festeggiamenti. Con «Parigi 1874. Inventare l’Impressionismo», presentata dal 26 marzo al 14 luglio, il museo parigino, in collaborazione con la National Gallery of Art di Washington (dove la mostra sarà allestita dall’8 settembre al 19 gennaio 2025), ha raccolto la sfida di ricostituire, 150 anni dopo, quella prima mostra del 15 aprile del 1874 che si svolse al numero 35 del boulevard des Capucines, a Parigi, nell’ex laboratorio del fotografo Nadar, e che segnò la data ufficiale di nascita del movimento.

Fu la prima mostra di un gruppo, in realtà molto eteroclito, di una trentina di giovani artisti riuniti in una «Società anonima cooperativa», tra cui Claude Monet, Auguste Renoir, Camille Pissarro, Alfred Sisley e Berthe Morisot. Artisti «affamati di indipendenza, come scrivono in un testo comune Christophe Leribault e Kaywin Feldeman, rispettivamente presidente del Musée d’Orsay e direttrice della National Gallery di Washington, che, organizzando la propria esposizione, condividevano la volontà di liberarsi dalle regole del Salone ufficiale, dai suoi soggetti e dai suoi stili imposti. In un’epoca in cui l’Accademia cercava di far sopravvivere lo storicismo e gli antichi dei, questi pittori della modernità facevano entrare nelle loro tele la realtà della loro epoca, delle nuove mode e dei nuovi costumi, del lavoro e del loisir, di una Parigi che si reinventava e delle campagne che si trasformavano». Il termine Impressionismo fu introdotto per la prima volta dal giornalista Louis Leroy in un articolo per «Le Charivari» del 25 aprile 1874.

La mostra, curata dalle conservatrici Sylvie Patry e Anne Robbins, allestisce circa 130 opere, mescolando, come sarà poi a Washington, i dipinti rivoluzionari esposti nell’ex atelier di Nadar e una selezione di opere, pitture e sculture, che quell’anno avevano partecipato al Salon ufficiale: «Questo confronto inedito permette di restituire lo shock visivo provocato all’epoca dalle nuove opere impressioniste». Il Musée d’Orsay, che in occasione dell’anniversario ha prestato 178 opere della sua collezione a una trentina di musei francesi (tra cui «Le balcon» di Monet al MusBA di Bordeaux dal 3 marzo al 6 giugno, e «Le Bassin aux nymphéas, harmonie rose» di Monet al Palais Fesch di Ajaccio dal primo marzo al 7 giugno), ha trasferito nelle sale della mostra alcuni dei suoi capolavori, come «Bal du moulin de la Galette» di Renoir e «Coquelicot» di Monet. Il Musée Marmottan Monet di Parigi ha prestato «Impression, soleil levant», che Monet dipinse nel 1872, considerata unanimemente l’opera fondatrice del movimento. I musei statunitensi hanno prestato opere di Morisot (come «La lecture»), di Manet (tra cui «Le chemin de fer»,) di Renoir (come «La danseuse») e di Degas (tra cui «Classe de danse»).
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Della prima mostra impressionista del 1874, senza giuria né premi, in fin dei conti un evento modesto nel paesaggio artistico parigino dell’epoca, ma che affascinò la critica e conobbe più tardi il successo che sappiamo, non sono pervenute foto. La ricostituzione dell’evento da parte dei curatori è stata possibile a partire dagli indizi disseminati negli articoli di stampa e testimonianze dell’epoca e in documenti di archivio, alcuni dei quali sono esposti grazie ai prestiti della Bibliothèque Nationale de France.

Per riviverla, il museo propone anche, fino all’11 agosto, un’esperienza immersiva in 3D di 45 minuti, «Una sera con gli impressionisti. Parigi 1874», prodotta con le società specializzate Excurio e Gedeon. Indossando un casco di realtà virtuale, si fa finta di viaggiare indietro nel tempo, di passeggiare nei boulevard parigini dell’epoca e di unirsi ai visitatori della mostra innovatrice. Per le curatrici, questa esperienza virtuale «permette di comprendere meglio l’atmosfera di una mostra agli antipodi della white box, associata oggi all’arte moderna e contemporanea, e che prendeva in prestito l’estetica degli atelier e dei nuovi luoghi di commercio del ’900, segnando a sua modo una rivoluzione».

Accanto alla mostra «Paris 1874», il Musée d’Orsay propone anche una personale di Nathanaëlle Herbelin (dal 12 marzo al 30 giugno), artista franco-israeliana, «erede dei Nabis», invitata dal museo a mettere in prospettiva i suoi lavori con le tele degli artisti che l’hanno ispirata, Pierre Bonnard, Edouard Vuillard e Felix Vallotton. Herbelin, nata nel 1989, che vive e lavora a Parigi, rivisita e in qualche modo «aggiorna» i grandi temi cari ai postimpressionisti, soprattutto scene di vita intima e quotidiana, in cui compaiono degli elementi legati alla società moderna, come un cellulare o un computer. In un quadro recente, «Jérémie au bain» (2023), l’artista rivisita per esempio il tema ricorrente della toilette, scegliendo però come protagonista un uomo nudo immerso nella vasca da bagno.
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Luana De Micco, 22 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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