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Il Mudec si ripresenta tutt’intero

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Dopo la preinaugurazione del 27 marzo, con le due mostre ideate per Expo (cfr. n. 351, mar. ’15, p. 16), dal 28 ottobre il Mudec-Museo delle Culture apre la sua collezione permanente e inaugura al contempo la regolare programmazione di mostre ed eventi, la sezione didattica (il Mudec Junior, ispirato al Tropenmuseum Junior di Amsterdam, e il Mudec Lab) e la caffetteria rinnovata.
Le collezioni permanenti del Mudec, alla cui gestione concorrono 24 Ore Cultura e (per la collezione permanente) il Comune di Milano, con il supporto di Deloitte, conservano circa ottomila reperti dal mondo, dal 1200 a.C. dei pezzi del Perù preispanico fino al XX secolo. Di questi circa 200 (gli altri sono nei depositi, visitabili su appuntamento) sono stati selezionati, restaurati e studiati, per essere esposti nel percorso museale secondo un itinerario in sette tappe che esplora gli approcci, diversi a seconda dei modelli culturali di ogni epoca, con cui l’uomo europeo ha guardato a quelle culture.
La prima sezione illustra lo stupore per l’esotico del XVII secolo, e lo fa grazie a ciò che resta della Wunderkammer del canonico milanese Manfredo Settala (1600-1680), in comodato dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana, con i naturalia, gli artificialia, i mirabilia e gli exotica raccolti dallo studioso nella sua casa milanese, presto diventata meta di visitatori internazionali.
La seconda sezione ci porta nell’Ottocento, mostrando i reperti dell’originaria Raccolta di Paleontologia ed Etnografia del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, istituita nel 1858, frutto di esplorazioni scientifiche e di missioni religiose.
La terza illustra il periodo coloniale e dunque i viaggi tesi alla scoperta di risorse sfruttabili.
La quarta esibisce i manufatti cinesi e giapponesi riportati in patria dai commercianti di seta che attraversavano l’Asia in cerca di bachi da seta immuni dal morbo che a metà Ottocento decimò i nostrani.
Non mancano (quinta sezione) le grandi Esposizioni universali (specie quella milanese del Sempione, 1906) che accesero l’attenzione per l’Oriente, mentre la sesta (attraverso filmati e una statua bronzea Yamantaka che porta i segni della guerra) narra la distruzione, nel 1943, di quasi tutte le collezioni etnografiche milanesi (soltanto le amerinde e orientali furono messe in salvo).
La settima e ultima narra la fortuna nel secolo scorso delle arti «altre», che generò un forte collezionismo privato (in mostra le collezioni Bassani, Passarè e Monti), anche sull’onda della passione degli artisti d’avanguardia per le arti allora dette «primitive».
A provarlo giunge dal Museo del Novecento la «Femme nue» di Picasso, uno degli studi per le «Demoiselles d’Avignon» (1907), vero manifesto della passione per l’«art nègre». E dalla Fondation Albers arriva un tessuto astratto di Anni Albers, esponente del Bauhaus e moglie di Josef Albers, innamorata dei manufatti tessili andini, qui messo a confronto con i tessuti originali della collezione Balzarotti.  


Non è dunque un caso che a completamento del percorso museale sia stata allestita la mostra «A Beautiful Confluence. Anni e Josef Albers e l’America Latina», nella quale le opere dei due celebri artisti tedeschi sono accostate a pezzi di arte indigena americana della loro collezione, formata sin dall’arrivo negli Stati Uniti nel 1933, in fuga dal nazismo. 

Dal 28 ottobre al 21 febbraio si apre poi la mostra «Gauguin. Racconti dal paradiso» (cfr. articolo nella sezione Mostre), mentre «Barbie. The Icon», a cura di Massimiliano Capella, va in scena fino al 13 marzo (cfr. «Vernissage», p. 20).
Il Forum della Città Mondo (luogo di partecipazione di 500 associazioni delle comunità internazionali del territorio) presenta poi fino al 10 gennaio #1. Eritrea/Etiopia, prima tappa di un progetto di ricognizione e valorizzazione delle culture presenti a Milano, che espone oggetti e documenti delle collezioni del Mudec, frutto del colonialismo italiano nel Corno d’Africa, oltre a fotografie degli anni Ottanta di Vito Scifo e Lalla Golderer, immagini recenti e un documentario di Alan Maglio e Medhin Paolos, con i quali si racconta la presenza più che cinquantennale e l’integrazione in città di eritrei ed etiopi.


Ada Masoero, 26 ottobre 2015 | © Riproduzione riservata

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