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Erotici, mitici e psicanalitici: a Palazzo Reale i protagonisti del Simbolismo
Mentre continua la mostra dedicata ad Alfons Mucha, uno dei protagonisti del gusto Art Nouveau, dal 3 febbraio al 5 giugno Palazzo Reale consente un’ulteriore immersione negli stessi climi con la rassegna «Il Simbolismo. Dalla Belle Époque alla Grande Guerra», curata da Michel Draguet e Fernando Mazzocca e prodotta da Comune, 24 Ore Cultura e Arthemisia Group, con l’ideazione e direzione artistica di Claudia Zevi&Partners.
Con 150 opere di pittura, scultura e grafica, giunte da collezioni pubbliche e private internazionali, la mostra ripropone quella koinè dai molti accenti che tra l’ultimo quindicennio dell’Ottocento e il primo del Novecento attraversò l’intera Europa e impresse un’inedita ed estenuata tonalità emotiva a tutte le arti, allontanandole dallo scientismo positivista (e dal realismo, che ne era scaturito) e spingendole verso l’esplorazione dell’interiorità dell’uomo, fino ad affacciarsi all’«abisso» dell’inconscio. Dall’Inghilterra alla Francia, dal Belgio all’Austria all’Italia, l’arte prese ad andare in cerca di nuove forme capaci di esprimere i valori universali della vita, della morte e dell’amore, dell’eros e del peccato, spesso attingendo al grande serbatoio di simboli offerto dalla mitologia, riportata alla ribalta dalla nascente psicanalisi.
Articolata in 18 sezioni che toccano tutti i nuclei fondativi di quella corrente di pensiero, la mostra si apre con l’omaggio a Charles Baudelaire e ai suoi Les Fleurs du Mal, l’humus di cui si nutrì il Simbolismo, per inoltrarsi nei territori inquietanti del sogno e dell’incubo, dei dèmoni della mente e della voluttà della morte, della luce e delle tenebre, di un erotismo spesso morboso. Insieme, ecco la musica e il mito (primi fra tutti i miti sanguinari di Orfeo e della Medusa); l’acqua e l’abisso; la donna fatale e la Sfinge e, all’opposto, l’amore come fonte di vita, la primavera e la giovinezza, e la natura, oggetto di una fusione panica, totalizzante.
Chiudono il percorso gli episodi esemplari della Sala internazionale dell’Arte del Sogno, nella Biennale di Venezia del 1907, che segnò la consacrazione del Simbolismo nelle arti visive, e le decorazioni scintillanti di Galileo Chini e Vittorio Zecchin, giusto alle soglie della Grande Guerra. In mostra sfilano i campioni di quella cultura: Klinger e Khnopff, Rops e Kubin, Redon e Moreau, Stuck e Kupka, Böcklin e Hodler, i Nabis francesi Denis, Sérusier e Bernard, e poi Segantini, Previati, Nomellini, Sartorio, Bistolfi, Alberto Martini e altri ancora, fino a Chini e Zecchin, in una ricognizione ricca anche di capolavori di grafica, uno dei media allora più innovativi e diffusi.
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