Pendente in oro a testa di Acheloo (metà del XIX secolo), manifattura Castellani, Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. © Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Foto Stefano dal Pozzolo

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Pendente in oro a testa di Acheloo (metà del XIX secolo), manifattura Castellani, Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. © Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Foto Stefano dal Pozzolo

I gioielli della Collezione Castellani

La celeberrima famiglia di orafi della Roma papalina aveva la passione per le antichità etrusche. Le sue creazioni ebbero un successo mondiale.

Castellani, orafi geniali

A decretare le fortune internazionali dei Castellani, orafi geniali, collezionisti e mercanti di antichità, fu il Grand Tour: nel 1814, infatti, quando il viaggio in Italia continuava a rappresentare un obbligo per le classi elevate dell’intera Europa, Fortunato Pio Castellani (1794-1865) aprì una bottega orafa in via del Corso a Roma, dove presentava i suoi gioielli «nello stile dell’antico», che presto sedussero il gran mondo romano e internazionale.

A sancirne il tramonto fu l’Art Nouveau che, oltre un secolo dopo la fondazione, nel 1927 impose ai Castellani la chiusura della bottega di famiglia, intanto trasferita nel gran palazzo affacciato sulla Fontana di Trevi. Fortunato Pio e i figli Alessandro (1823-83; patriota che patì il carcere e l’esilio) e Augusto (1829-1914), grazie anche alla stretta amicizia con il coltissimo Michelangelo Caetani di Sermoneta (1804-82), politico, letterato e anche designer di gioielli (in mostra alcuni suoi taccuini di disegni) che li introdusse nella migliore nobiltà europea, diedero vita a gioielli inediti che imitavano nelle forme e nelle tecniche i monili archeologici.

Per conoscere a fondo quelle antiche culture promossero essi stessi degli scavi e, com’era d’uso allora, oltre a formare una magnifica raccolta grazie alla rete di conoscenze nel mercato antiquario, furono essi stessi mercanti di antichità: difficile discernere in loro l’artefice, l’erudito, il collezionista, il mercante, ma sarebbe antistorico giudicarli con il metro di oggi, anche perché tutte le loro collezioni, tanto le archeologiche quanto i loro gioielli, furono da loro donate in più riprese a musei pubblici.

Se una parte andò ai Musei Capitolini, di cui Augusto sarebbe anche diventato direttore, la parte maggiore, nel 1919, fu donata all’Italia da suo figlio Alfredo, destinata al Museo Nazionale di Villa Giulia, di cui è tuttora uno dei vanti. Ed è proprio di lì che, proposti dal museo stesso, giungono i pezzi della mostra «Tesori etruschi. La collezione Castellani tra storia e moda», curata da Giulio Paolucci (Museo Civico Archeologico Chianciano Terme e Fondazione Luigi Rovati, Milano) e Giuseppe Sassatelli (professore emerito Università di Bologna), che si apre il 25 ottobre, fino al 3 marzo 2024, presso la Fondazione Luigi Rovati di Milano.

Il percorso parte dall’ipogeo (dove trovano posto i pezzi archeologici dei Castellani, i gioielli di scavo e quelli realizzati da loro) e giunge al piano nobile, dove sono presentati anche i gioielli contemporanei di Chiara Camoni. Cinque le sezioni: la prima è dedicata a «I capolavori», esposti un tempo nel loro «studio di ricevimento» di piazza di Trevi, tappa obbligata dei turisti colti. Si prosegue con «Le produzioni mediterranee», con i reperti etruschi, corinzi, attici dal VII al V secolo a.C., ritrovati nell’Italia Centrale dove, in antico, erano importati in gran numero.

C’è poi la sezione sulla «Vita femminile», con gli unguentari giunti dall’Oriente, prediletti dalle dame etrusche, e quella, stupefacente, delle «Oreficerie». Entrano poi in scena gli «Dèi ed eroi» più celebrati nella pittura vascolare greca, importata largamente in Italia dove, per ibridazione, si formò un pantheon greco-etrusco-italico, con Ercole in primo piano. Insieme, i bronzetti etruschi di Laran, dio della guerra, e di Menerva (Atena per i Greci, Minerva per i Romani), anch’essa in vesti di guerriera.

Chiude il percorso la storia della famiglia Castellani nella Roma prima papalina, poi capitale del Regno d’Italia, e qui figurano anche fotografie d’epoca dello studio di Augusto in piazza di Trevi, in cui si vedono alcuni dei pezzi esposti. «Ma non si creda che donassero solo ai grandi musei, precisa Giulio Paolucci. Lavorando alla mostra, ho ritrovato i documenti della donazione di Augusto di 30 vasi da Cerveteri al religioso e grande studioso don Gaetano Chierici, per il suo museo di Reggio Emilia, mentre nel Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona ho rinvenuto dieci vasi, due dei quali sono presentati fotograficamente nel catalogo, donati da Alessandro quando fu nominato Accademico Etrusco». Senza dimenticare la loro dote, così attuale, di comunicatori: «I due fratelli tennero importanti conferenze sull’arte italiana a Parigi, Londra e Firenze, e Alessandro, esule a Parigi, nel 1866 organizzò una mostra di oreficerie etrusche e longobarde a Filadelfia che promosse questi tesori anche oltreoceano».

Ada Masoero, 25 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

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