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Honour e Fleming senza lauree ma più competenti

La Storia universale dell’arte di Honour e Fleming (che, nonostante tutti i successi, resta il loro capolavoro) si distingue non solo per la genuina volontà di considerare sullo stesso piano tutta l’arte, occidentale, orientale e la cosiddetta arte primitiva, ma soprattutto per l’autorità con cui questo viene fatto. 

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David Ekserdjian

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Entrambi rappresentarono gli ultimi campioni di un’epoca in cui le lauree in Storia dell’Arte praticamente non esistevano, ma furono più competenti e con un maggior rigore intellettuale di molti laureati e vissero solo grazie ai loro scritti. Insieme, produssero una messe di libri straordinari, tra cui The Penguin Dictionary of Architecture (1966, con Nikolaus Pevsner; Einaudi, 1981), The Penguin Dictionary of Decorative Arts (1977; Feltrinelli, 1980) e, in modo particolare, A World History of Art, pubblicato per la prima volta nel 1982 (Storia universale dell’arte, Laterza, 1982).
 

Entrambi dichiaravano che una volta che le loro opere andavano in stampa non erano più in grado di dire chi aveva scritto cosa (ma nel corso degli anni, i nomi in copertina passarono da «Fleming e Honour» a «Honour e Fleming»). Ma Honour scrisse anche una serie di libri e saggi autonomamente. Per la Penguin curarono anche tre rivoluzionarie collane: «Art in Context», «The Architect and Society», «Style and Civilization». Honour e Fleming si conobbero mentre il primo era studente universitario al St Catharine’s College di Cambridge.
 

A pochi anni dalla laurea, Honour raggiunse Fleming in Italia, dove vissero per il resto della loro vita. Nel 1954 Fleming era a Lerici, in Liguria, dove leggeva per Percy Lubbock (1879-1965), che era ormai praticamente cieco. Lubbock era un uomo di lettere vecchio stile e rappresentava un contatto con il circolo di Henry James (nel 1991, The Venetian Hours of Henry James, Whistler and Sargent fu l’omaggio di Honour e Fleming a quel mondo).
 

Al tempo stesso furono accolti nel regno di Bernard Berenson, I Tatti, prima di spostarsi ad Asolo, dove affittarono una casa da Freya Stark, ed ebbero un colpo di fortuna quando un’estate Allen Lane della Penguin prese in affitto la casa accanto e assegnò loro numerose commissioni.
 

A partire dal 1962, la loro base fu una villa fuori Lucca, a distanza strategica dalla splendida biblioteca del Kunsthistorisches Institut di Firenze. Furono grandi viaggiatori; per questo la loro conoscenza di posti lontanissimi come Borobudur a Giava o Angkor Wat in Cambogia, per citarne solo due, era frutto di una reale conoscenza dal vivo. Il concetto dello studio dell’arte in un’ottica «globale» oggi è un dato di fatto nelle Università.
 

Ma la Storia universale dell’arte di Honour e Fleming (che, nonostante tutti i successi, resta il loro capolavoro) si distingue non solo per la genuina volontà di considerare sullo stesso piano tutta l’arte, occidentale, orientale e la cosiddetta arte primitiva, ma soprattutto per l’autorità con cui questo viene fatto. Qui dimostrano quello che due individui diligenti, brillanti e dalla mentalità eccezionalmente aperta, sono in grado di raggiungere. Non ci sarà mai un altro libro di questo livello.
 

La produzione indipendente di Honour non fa altro che sottolineare la portata e l’originalità della loro erudizione. Le sue opere vanno da The Companion Guide to Venice (1965) a Neo-classicism (1968; Einaudi, 1980) e Romanticism (1979; Edizioni di Comunità, 1984 e Einaudi, 2007), a Chinoiserie (1961; L’arte della cineseria, Einaudi, 1980) e The New Golden Land (1975), entrambi dedicati ai rapporti tra l’Europa e il resto del mondo. Altri scritti comprendono i contributi a due progetti molto cari a Honour: la serie The Image of the Black in Western Art e l’edizione definitiva degli scritti di Canova.

 

David Ekserdjian, 01 giugno 2016 | © Riproduzione riservata

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