Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoli«Saremmo ben felici di tenerci gli archivi, ma non sono nostri». È questa in sintesi la risposta di Cristina Mazzantini, da gennaio direttrice della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea (Gnam) di Roma, a chi la «accusa» di voler restituire senza motivo il Fondo Carla Lonzi e parte dell’Archivio Anton Giulio Bragaglia, giunti al museo tra il 2017 e il 2019 quando era diretto da Cristiana Collu. Il punto invece è questo: sono archivi privati, non sono dello Stato, perché non sono giunti in forma di donazione ma di comodato d’uso, ovvero un contratto che prevede l’obbligo di restituirli. Cioè, un giorno o l’altro sarebbero comunque tornati ai legittimi proprietari: Battista Lena per il Fondo Lonzi e Valerio Jalongo per l’Archivio Bragaglia, che ha scelto la forma della donazione solo per una parte dei preziosi materiali.
Lo Stato, nel frattempo, ha fatto la sua: ha riordinato, restaurato, indicizzato e digitalizzato il materiale «prestato» dai proprietari, e lo ha fatto con grande investimento di risorse economiche, umane e culturali, e sotto la vigile supervisione dell’allora direttrice dell’Archivio bio-iconografico del museo, Claudia Palma. Gli uffici amministrativi della Gnam fanno sapere che, nel caso Lonzi, gli oneri sostenuti ammontano a 70mila euro, tra pagamento di studiosi archivisti, necessaria burocrazia ed emolumento (oltre 27mila euro) ad Annarosa Buttarelli, alla curatrice del Fondo della critica d’arte e femminista. È stata proprio Buttarelli a sollevare il caso in sede non accademica, ma social (il suo account Facebook), parlando di «un vero e proprio attacco al femminismo».
«Sono donna anche io e ho lottato per affermarmi», ha risposto l’architetto Mazzantini a Carlo Alberto Bucci di «La Repubblica», «ma il femminismo non c’entra», aggiungendo che sarebbe ben felice di continuare a custodire il Fondo Lonzi, «se solo Battista Lena decidesse di donarlo». Nel caso ciò non avvenisse, tutto il Fondo, grazie al lavoro svolto, è comunque gratuitamente consultabile online sul sito della Gnam.
C’è tuttavia, chi ritiene che lo Stato debba farsi carico di qualsiasi onere per la valorizzazione della storia culturale del paese, anche se giunge sotto le sue ali protettive in forma di custodia temporanea. La Corte dei Conti potrebbe non essere di questo avviso, ribatte Cristina Mazzantini: «Essendo un fondo privato, il Fondo Lonzi non è coperto dalla garanzia di Stato, cosa che comporta la stipula di onerose polizze assicurative a spese del museo pubblico e quindi del contribuente». C’è chi insiste: che sia! La cultura non è quantificabile in denaro. Ma il museo deve ottenere il Certificato di Prevenzione Antincendi, e per far questo deve affrontare complessi lavori di ristrutturazione degli ambienti dove i fondi Lonzi e Bragaglia sono conservati, e che andrebbero trasferiti e custoditi altrove, sempre a spese delle casse pubbliche, e sempre per un bene privato. Forse è troppo. Non tanto per Mazzantini, ma appunto per la Corte dei Conti. Basterebbe una fiduciosa donazione, e tutti i nodi si scioglierebbero. «Date le condizioni dei locali in cui il Fondo Lonzi è immagazzinato, e in previsione degli imminenti lavori, riporta una nota della Gnam, la direzione ritiene preferibile che i cartacei del Fondo Carla Lonzi siano conservati a cura e spese dei proprietari. La Galleria è orgogliosa delle donazioni ricevute e di prendersi cura di tutti i fondi pubblici, pertanto ritiene preferibile destinare i finanziamenti dello Stato ai beni di proprietà pubblica». Il femminismo non c’entra.
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