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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoli21 gennaio 2025: muore, d’infarto, Luca Beatrice. La tragedia lascia sbigottiti tutti. Anche la Fondazione La Quadriennale di Roma, di cui è presidente da fine 2023, ha bisogno di due mesi per assorbire il contraccolpo. Dopodiché, è Andrea Lombardinilo, nuovo presidente dell’istituzione che organizza dal 1931 il quadriennale appuntamento espositivo sull’arte italiana, a prendere in mano le redini e a permettere che la 18ma edizione, in programma al Palazzo delle Esposizioni da ottobre, riprenda il suo ritmo, ma sempre all’insegna di Luca Beatrice: nulla del suo impianto curatoriale verrà modificato dal nuovo presidente, che, anzi, omaggerà il critico d’arte torinese. «Dedicheremo a fine settembre una giornata di studi dedicata a Luca Beatrice, dichiara Lombardinilo, e stiamo già attuando il suo preventivato tour per l’Italia, per presentare la Quadriennale. Siamo stati il 12 giugno a Bologna, il 16 giugno a Milano, alla Pinacoteca di Brera, e a settembre seguiranno altre tappe, tra cui Napoli, Roma e Gibellina».
Nato cinquant’anni fa a Ortona in Abruzzo, sociologo dei processi culturali e comunicativi, docente all’Università di Roma Tre, autore prolifico di libri su tema sociologico e letterario, Andrea Lombardinilo era, come dice lui, «in tutt’altre faccende affaccendato», quando una telefonata dal Ministero della Cultura lo informava dell’auspicio espresso dal ministro Alessandro Giuli affinché accettasse l’oneroso incarico di capitanare La Fondazione La Quadriennale di Roma. La scelta sorprende prima di tutti lui, «anche se molto piacevolmente». Lombardinilo era dal 2022 presidente della Fondazione Michetti di Francavilla al Mare (città dove vive in provincia di Chieti), istituzione che gestisce il Museo Michetti e organizza il Premio Michetti. «Il Premio, che è giunto alla sua 75ma edizione, è il secondo più longevo premio nazionale italiano, dopo la Biennale di Venezia», afferma lo studioso. La Quadriennale, aggiungiamo noi, è la seconda maggiore rassegna pubblica italiana, sempre dopo la Biennale sulla Laguna. Sarà un destino. Fatto sta che «è alla Fondazione Michetti che vivo le prime proiezioni nel mondo dell’arte e degli artisti. La Quadriennale è il frutto di questa esperienza. D’altronde ho scritto molto di D’Annunzio, amico profondo di Francesco Paolo Michetti...». Era quindi scritto nel fato e nello svolgersi di un destino che lega la propria grande passione alla propria professione. Una lettura che forse sarebbe piaciuta al Vate, la cui prosa e poesia Lombardinilo ha frequentato sin da ragazzo, molto prima di farne oggetto di studi sociologici e lezioni universitarie. Una carriera iniziata però nelle file del Ministero dell’Università. «Nel 2003 sono entrato nell’ufficio stampa del Miur, per poi passare nella Direzione generale per l’Università, rimanendovi fino al 2010, come responsabile della segreteria tecnica. È lì che ho appreso le prime nozioni sull’arte della comunicazione universitaria, divenuta poi campo di indagine e di ricerca».
Il passaggio in Quadriennale, invece, «è stata una sfida, facilitata però dal fatto che la mia missione è quella di portare a termine un progetto già definito e avviato da Luca Beatrice, che ha scelto i curatori».
È stato difficile subentrare a Luca Beatrice?
Subentrare a una personalità di tale caratura non è mai facile. Ma sono stato sostenuto dall’intera struttura della Quadriennale e dai suoi ottimi gruppi di lavoro, capeggiati dalla direttrice generale Ilaria Della Torre. Sto operando in un bellissimo clima, dominato dalla passione e dall’entusiasmo, anche nei rapporti con il Palazzo delle Esposizioni e la Direzione generale creatività contemporanea del Ministero della Cultura.
Beatrice ci aveva promesso che sarebbe stata una Quadriennale fantastica, tanto da eleggere il termine a titolo della kermesse, intendendolo come sostantivo, ma anche come verbo, nel senso di un’esortazione. Quali altre definizioni applicherebbe alla prossima mostra?
Creativa, giovane, ibrida, sperimentale.
Come collocherebbe sociologicamente l’arte contemporanea?
Dobbiamo cercare di capire se il discorso pubblico sull’arte può avere un’eco allargata anche in assenza di proposte provocatorie o di eventi di cronaca: un crollo in un’area archeologica, la scoperta di un capolavoro o il ritrovamento, peraltro in una cascina in Abruzzo, della porta del Bataclan dipinta da Banksy e poi rubata. Dobbiamo cioè capire se l’arte ci interessa solo quando è sensazionale, oppure se è più corretto che l’arte torni a essere definitivamente un volano di riflessione e uno strumento di scandaglio individuale e collettivo. Io propendo per il secondo caso. Il primo è stato ampiamento descritto da Baudrillard nel saggio La sparizione dell’arte.
Conosce bene le parole dei grandi scrittori e le immagini di grandi artisti: per lei è più potente la parola o l’immagine?
Per me è più potente la parola in grado di generare immagini.
In un suo libro su Giacomo Leopardi, lo ha definito sociologo ante litteram. Perché?
Quando lavorò alla Crestomazia italiana della prosa, si comportò da grande studioso e, insieme, da abile divulgatore. Fu un’operazione di coltissima selezione della migliore letteratura nazionale, ma svolta, paradossalmente, con taglio antifilologico. In molte parti, per esempio, per rendere la lettura più agevole ha preferito espungere le citazioni in latino o i passi più difficili. Era una provocazione modernizzante di un grande comunicatore, attentissimo nel normalizzare la punteggiatura, il lessico, la sintassi dei brani antologizzati.
In futuro ci saranno ancora per lei D’Annunzio e Leopardi?
Per il momento in cantiere c’è l’Europa. Sto portando a termine un lavoro di ricerca, edito a breve da Carocci, su Europa Creativa, il programma europeo di sostegno ai settori culturali.