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1977: Giorgio Armani, che già lavora nella moda come stilista freelance ma ancora non ha un proprio marchio, incontra Aldo Fallai, grafico fiorentino diplomato all’Istituto d’arte, innamorato della fotografia. Un incontro fortunato, da cui scaturirà un sodalizio durato per decenni, che ora viene riletto nella mostra «Aldo Fallai per Giorgio Armani, 1977-2021», presentata da Armani/Silos a Milano dal 5 dicembre all’11 agosto 2024. Curata dallo stesso Giorgio Armani e da Rosanna Armani e Leo Dell’Orco, la mostra, su due piani dello spazio espositivo, comprende 250 immagini fotografiche pubblicate su riviste o diventate affissioni di grande potenza mediatica.
Quasi sempre in un bianco e nero (il che li trasporta in una dimensione quasi astratta), gli scatti di Fallai portano in sé un immaginario nutrito della nostra storia dell’arte non meno che del cinema, specie neorealista: un mix vincente, che conferisce loro il dono di proporsi con un’immediatezza invidiabile, capace però di trascendere il tempo. Non a caso i curatori le hanno esposte, come dichiarano, «in rigoroso ordine sparso», essendo ognuna di esse, prima ancora che l’immagine di un abito e di una collezione, il ritratto del carattere dei «personaggi» che vi figurano, individuati da Giorgio Armani con la precisa volontà di raccontare la società in evoluzione: negli anni Ottanta, primo fra tutti, puntò sulle «donne in carriera» (come si diceva allora), di cui la raffinatissima e severa Antonia Dell’Atte, «Herald Tribune» e «Corriere della Sera» sotto il braccio, mani guantate e giacca maschile (ma modellata sul corpo femminile), impersona a meraviglia l’allure per la collezione Giorgio Armani FW 1984-85.
E poi gli uomini, sempre più attenti alla propria immagine. Ma anche istanti di vita catturati da eventi scaturiti dal caso come quando a Palermo, per ripararsi dalla pioggia, la troupe si rifugia nel Circo Togni e nasce la fotografia (una delle rare a colori) per Armani Jeans SS 1981, con un cucciolo di tigre fra le mani del modello.
Come spiega Giorgio Armani, «lavorare con Aldo mi ha permesso, fin da subito, di trasformare in immagini reali la fantasia che avevo in mente: che i miei abiti [...] rappresentassero un modo di essere, di vivere. Perché lo stile, per me, è un’espressione totale. Insieme [...] abbiamo creato scene di vita, evocato atmosfere, tratteggiato ritratti pieni di carattere. E rivedendo oggi tutto il lavoro realizzato, sono io stesso colpito dalla forte suggestione che questi scatti sanno ancora emanare, e dalla grande capacità di Aldo di cogliere le sfumature della personalità». E Fallai (Firenze, 1943), da parte sua, rammenta: «il lavoro con Giorgio è stato il frutto di un dialogo naturale e continuo, e di grande fiducia da parte sua. [...] Le produzioni erano sempre agili, snelle: si otteneva il risultato con pochi mezzi e senza effetti speciali. Questo, penso, ha fatto breccia nel pubblico».


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