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Lavinia Trivulzio
Leggi i suoi articoliNel panorama dell’architettura contemporanea, pochi nomi evocano un’idea di rivoluzione formale quanto quello di Frank Gehry. Classe 1929, canadese naturalizzato statunitense, Gehry ha ridefinito il concetto stesso di edificio-icona, trasformando la scultura in architettura e l’architettura in gesto plastico. Le sue opere, riconoscibilissime, non sono mai mere forme eccentriche: sono organismi complessi, macchine culturali capaci di generare nuove identità urbane. Ripercorrere i suoi lavori significa leggere quarant’anni di mutazioni radicali della disciplina: dall’uso dei materiali industriali alla computazione avanzata, dall’urban renewal alla museografia come esperienza emotiva.
La casa di Santa Monica (1978): l’origine del linguaggio decostruttivista
Tutto comincia in un sobborgo di Los Angeles. Gehry acquista una piccola casa degli anni ’20 e decide di “smontarla” dall’interno, avvolgendola con una nuova pelle fatta di lamiera ondulata, rete metallica, compensati grezzi. L’edificio, apparentemente informe, inaugura una nuova poetica: la frammentazione, la collisione tra vecchio e nuovo, lo scarto materico come dichiarazione estetica. Espressione di un dissenso verso il modernismo ormai irrigidito, la casa di Santa Monica diventerà un manifesto: un’opera domestica capace di influenzare intere generazioni di progettisti.
Il Museum of Contemporary Art di Los Angeles (1988): il dialogo con la città
Gehry partecipa alla realizzazione del MOCA come responsabile della Temporary Contemporary (oggi Geffen Contemporary). In un vecchio magazzino riconverte gli spazi con una logica museale alternativa: grande flessibilità, assenza di monumentalismo, attenzione alla produzione artistica contemporanea. Non la sua opera più famosa, ma un primo tentativo di lavorare su scala istituzionale, trasformando la preesistenza industriale in un polo culturale vivo e permeabile.
Il Guggenheim Museum Bilbao (1997): l’edificio che ha cambiato il destino di una città
Impossibile parlare di Gehry senza passare da Bilbao. Il Guggenheim è molto più di un museo: è un capitolo decisivo nella storia architettonica degli ultimi decenni. Le sue superfici in titanio, piegate in volumi fluidi e dinamici, ricordano scorci marittimi, scaglie di pesce, vele metalliche. È un organismo in movimento, capace di catturare la luce e mutare nel tempo. Soprattutto, il Guggenheim inaugura quello che oggi viene chiamato “l’effetto Bilbao”: l’idea che un’architettura iconica possa rivitalizzare il tessuto sociale ed economico di un’intera città. Con il Guggenheim, Gehry non costruisce un museo: costruisce un destino urbano.
Il Walt Disney Concert Hall, Los Angeles (2003): dove la scultura incontra l’acustica
Se il Guggenheim è un gesto di rottura urbana, la Disney Concert Hall è un tempio dedicato all’acustica. Gehry lavora a stretto contatto con lo specialista Yasuhisa Toyota, ottenendo una sala sinfonica di eccellenza assoluta. All’esterno, volumi in acciaio inox si incastrano come vele o petali metallici. All’interno, un involucro di legni avvolge il pubblico in un ambiente dove ogni dettaglio è pensato per la resa sonora. È una delle opere più amate dai musicisti: qui, la forma spettacolare non sacrifica mai la funzione.
La Fondation Louis Vuitton, Parigi (2014): la nave di vetro nel Bois de Boulogne
A Parigi, Gehry affronta una nuova sfida: costruire un museo come architettura-paesaggio. La Fondation Louis Vuitton sembra una nave di vetro gonfiata dal vento, fatta di dodici grandi “vele” in vetro sorrette da un complesso sistema strutturale. All’interno, sale museali dinamiche, terrazze, viste sul parco. L’edificio dialoga costantemente con la luce, diventando trasparente, opaco o riflettente secondo le ore del giorno. È una delle sue opere più mature: una macchina curatoriale raffinata che unisce spettacolarità e sofisticazione tecnica.
8 Spruce Street (2011), New York: la torre che mette in movimento il cielo
A Manhattan, Gehry reinterpreta il tema del grattacielo con una facciata ondulata, rivestita in acciaio inox, che riflette il cielo come una superficie liquida. Non solo un esercizio formale: l’increspatura segue logiche di illuminazione naturale, aumentando la quantità di luce nelle unità abitative. È un esempio di come Gehry riesca a portare la sua estetica scultorea in edifici residenziali di scala gigantesca, senza perdere impatto visivo.
Hotel Marqués de Riscal (2006), Elciego: una delle Cantine storiche del Rioja in Spagna
Dopo Bilbao, Gehry ritorna più volte in Spagna, in particolare con l’Hotel Marqués de Riscal (2006), dove le lamine colorate ricordano i colori della regione vinicola: oro, rosa, viola. È un edificio-labirinto che combina lusso, paesaggio e irriverenza formale.
LUMA Arles: (2021): il tempio della fotografia nel cuore della Provenza
Il Luma Tower (2021), progettata per la Fondation Luma di Maja Hoffmann, porta Gehry nel cuore della Provenza. Una torre rivestita da più di undicimila pannelli di acciaio inox, ispirata alle rocce delle Alpilles e ai dipinti di Van Gogh. L’edificio, inaugurato nel 2021 e rivestito da migliaia di pannelli d’acciaio irregolari, cattura e frammenta la luce del Sud della Francia come una scultura abitabile. Gehry si ispira alle rocce della Provenza e alla pittura di Van Gogh, trasformando un’ex area industriale in un nuovo polo per la creazione contemporanea. Dentro, la torre ospita spazi espositivi, laboratori, archivi, sale per artisti e terrazze panoramiche: è un’infrastruttura culturale plurifunzionale, pensata non solo per esporre arte ma per generarla. LUMA segna il passaggio dell’architetto verso un’idea di architettura come ecosistema, dove funzione, luce e territorio dialogano senza gerarchie.
Tra gli altri grandi progetti, impossibile non menzionarne altri due:
Fish Dance (Kobe)
Fish Dance, progettato da Gehry a Kobe negli anni ’80, è una delle sue opere più playful e intuitive: una scultura-insegna a forma di pesce che diventa architettura urbana sul waterfront della città. Originariamente legato a un ristorante, l’intervento si è trasformato negli anni in un punto di riferimento visivo e simbolico del porto. Le superfici curve, la forma irregolare e l’energia dinamica della struttura condensano una delle ossessioni ricorrenti di Gehry: il pesce come archetipo, come forma libera, come ironico contrappunto alla rigidità dell’architettura tradizionale. È un piccolo manifesto, quasi un gesto, che anticipa la sua stagione più scultorea e apre alla dimensione ludica dei suoi progetti successivi.
Weisman Art Museum (Minneapolis)
Il Weisman Art Museum, completato nel 1993 per l’Università del Minnesota, rappresenta uno dei primi musei in cui Gehry sperimenta pienamente il linguaggio decostruttivista. La doppia facciata è la chiave del progetto: da un lato il mattone, in continuità con gli edifici storici del campus; dall’altro le superfici d’acciaio piegate e brillanti che si aprono verso il fiume Mississippi. Due anime (tradizione e innovazione) convivono nello stesso corpo architettonico, anticipando le celebri “pelli” metalliche dei progetti maturi. Il Weisman rimane un esempio limpido della capacità di Gehry di trasformare un museo universitario in un’opera iconica, capace di essere al tempo stesso riconoscibile e perfettamente inserita nel contesto.
Hotel Marqués de Riscal (foto Picasa)
Il Guggenheim di Bilbao
La Fondation Louis Vuitton di Parigi (foto Los Angeles Time)
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