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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliAl Museo Marini la collezione «povera» di Maurizio Nannucci e un americano nella cripta
Fino al 23 aprile il Museo Marini ospita le mostre di Maurizio Nannucci e di Tony Lewis. Il progetto «Top hundred» di Maurizio Nannucci è composto da 100 opere tra multipli, edizioni, libri e dischi di artista, poster, audiowork, video ed ephemera. È giunto così a far coincidere l’aspetto biografico e le proposte concettuali dell’artista, che da decenni indaga le relazioni tra arte, linguaggio e immagine, con quello storico di alcune pratiche artistiche, e connettendosi all’intensa attività editoriale svolta da Nannucci, tra i fondatori di numerose iniziative non profit come «Zona» (1974-85), «Zonaradio» (1982), «Base progetti per l’arte» (dal 1998 un collettivo di artisti attivo tutt’oggi).
La mostra, dopo la tappa al Museion di Bolzano, presenta materiali provenienti dalla collezione «Zona Archives» avviata da Nannucci nel 1967 e trae spunto dalla riflessione sul tema benjaminiano della condizione dell’arte nell’era della riproducibilità tecnica: se è vero che l’opera riproducibile perde la sua aura, ciò porta (come notava lo stesso Walter Benjamin, rievocando il poemetto in prosa di Baudelaire), a una circolazione più ampia e democratica dell’opera d’arte stessa. Nannucci riunisce testimonianze preziose dalla Poesia concreta a Fluxus, dall’Arte concettuale a ricerche multimediali e sperimentali fino ad arrivare all’oggi, richiamandosi a Benjamin anche nella necessità di proteggersi dalla disattenzione e dalla confusione.
«Questo progetto è come un racconto e nelle singole bacheche o sulla parete le opere hanno proprio il senso di documento più che di oggetto, e io non attribuisco a esse alcun valore soggettivo, afferma Nannucci. Mi è piaciuto mostrare documenti come il “Journal d’un seul jour” di Yves Klein, eventi importanti che hanno però rappresentato un fallimento». Fondamentale è poi la scelta di materiali legati al suono: «Oltre a multipli e a libri di artista, vi sono anche numerosi dischi che sono stati elementi portanti della mia pratica artistica. Ricordo il ciclo di trasmissioni di Zonaradio all’inizio degli anni Ottanta attraverso le onde di Controradio, dove intervenivano personaggi come John Giorno, Vito Acconci e molti altri: non erano interviste, ma ascolti in diretta delle rispettive pratiche legate al suono. Un programma all’avanguardia, preceduto all’epoca solo da quello di una radio di Los Angeles, ma che andò avanti, con frequenza sempre più sporadica, fino all’85 per poi cessare, come del resto tante cose a Firenze, che è una città sempre in fuga».
Il progetto di Nannucci si inserisce in un percorso di ricerca sugli archivi contemporanei del Museo Marini, avviato nel 2014 con la mostra dedicata al Centro Di e la collezione di Alessandra Marchi, ed è corredato dal catalogo con testi di Andreas Hapkemeyer, Maurizio Nannucci, Gabriele Detterer, Letizia Ragaglia, Alberto Salvadori e i contributi di Caterina Toschi e Alessandra Acocella.
Nella cripta del museo è invece in corso l’esposizione «Alms Comity and Plunder», una monografica di Tony Lewis (Los Angeles, 1986) a cura di Alberto Salvadori, progetto pensato espressamente per quel luogo dall’artista, sostenuto dal gallerista Massimo De Carlo di Milano. I «Floor drawing» sono grandi disegni e sculture, memori di Oldenburg e degli assemblage di Chamberlain, suggestive e potenti accumulazioni che alterano la percezione geometrica delle superfici. Altri lavori sono fondati sulla parola (come fecero in Toscana i poeti visivi o il Gruppo 70, volgendosi, attraverso l’uso del linguaggio, alle «cose» del mondo): è il caso di «Look people in the eye», opera realizzata con viti, elastici e pigmenti, Lewis trae una frase dal libro Life’s Little instruction Book per ampliarne e rovesciarne il significato, o nel disegno a grafite destruttura la parola «Death», conferendole un’autonomia segnica e semantica che si carica delle suggestioni di quel luogo dove per mille anni furono sepolti i frati del convento di San Pancrazio.
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