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Ferdinando Botero con la moglie Sophia Vari, scomparsa lo scorso maggio

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Ferdinando Botero con la moglie Sophia Vari, scomparsa lo scorso maggio

È morto Botero, il «Picasso colombiano»

All’età di 91 anni si è spento nel Principato di Monaco l’artista che alzò il volume della pittura

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Franco Fanelli

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« Scrissero sulla rivista “News” che le mie figure erano aborti frutto dell’accoppiamento tra Mussolini con una contadina idiota. Su “Art Magazine” mi trattarono meglio: scrissero che la mia pittura era un “monumento alla stupidità”. E questi erano i critici che si soffermavano sulla mia pittura; gli altri parlavano delle “caricature di Botero” »

Così Fernando Botero venne accolto a New York, quando vi si trasferì all’inizio degli anni Sessanta. Aveva già esposto in un paio di gallerie a Washington ma il clima per lui non era dei più favorevoli, al tramonto dell’Espressionismo astratto e in piena ascesa del New Dada, prossimo a cedere il passo alla Pop art. Non poteva sapere, anche se probabilmente lo sospettava, che per tutta la sua vita i rapporti con la critica non sarebbero stati propriamente pacifici. Ma la storia dell’arte e degli artisti è strana, a volte paradossale, ed è scandita da incontri spesso decisivi. Forse qualcuno vide qualche affinità tra i fumettoni di Roy Lichtenstein esposti da Leo Castelli e le sue figure che cominciavano a gonfiarsi. E nel suo studio nell’East Side arrivò un giorno Dorothy C. Miller, curatrice per le mostre del Museum of Modern Art, che ebbe la sua parte nel convincere il suo direttore, Alfred H. Barr, a comprare un dipinto del giovane pittore colombiano, la prima versione di «Monna Lisa a dodici anni», eseguito nel 1959. Fu l’unico quadro figurativo acquistato dal MoMA in un periodo in cui i fondi erano destinati esclusivamente alla pittura astratta. Nel catalogo del MoMA, Barr commentò così quel quadro: «Non si può ammirare questa opera inquietante senza prendere posizione».

E le posizioni, nei confronti di Botero, nato nel 1932 a Medellín da un padre commerciante che morendo a soli quarant’anni lasciò in povertà la sua famiglia, furono sempre molto nette: da un lato la critica, dall’altro il pubblico (e il mercato). Botero, morto oggi nel Principato di Monaco per le complicazioni di una polmonite, sarebbe ben presto entrato a far parte di quella schiera di artisti che i talebani del contemporaneo neanche si sarebbero sprecati a demolire (il silenzio è un’arma micidiale); e altrettanto rapidamente avrebbe ottenuto una straordinaria popolarità e quotazioni decisamente alte.

Esordì nel 1951 a Bogotà e il primo imprinting fu quello della pittura muralista messicana. L’anno decisivo è il 1958: arriva un premio importante, quello assegnato dal Salon degli Artisti Colombiani, e con quel denaro poté viaggiare in Francia e in Spagna e visitare il Prado e il Louvre. Nello stesso anno partecipa alla Biennale di Venezia. È la Biennale del trionfo di Mark Tobey e del Premio per la pittura a Licini e la pittura di Botero appariva decisamente demodé, per usare un eufemismo. Gli piaceva Picasso, e un suo articolo in lode dell’artista spagnolo gli era valsa l’espulsione dal liceo. Questa la motivazione del preside: «Questo studente non si rende conto di ciò che ha fatto. È caduto nelle ombre tenebrose ingannato dalla fallacia di un’arte falsa, un’arte impegnata nella distorsione della figura umana e nell’annullamento della creatura che fu modellata da Dio». Per dire: Botero non fu, in gioventù, un piccolo reazionario ignorante; a New York strinse amicizia con De Kooning e Rothko. Semplicemente rimase sé stesso, portandosi addosso il marchio di pittore che piace e che vende. Gli piaceva anche Francis Bacon (considerava invece un mediocre accademico Lucian Freud) e di sicuro offrì un’interpretazione del corpo umano diametralmente opposta a quella del collega irlandese (li trattava, comunque, la stessa galleria, la Marlborough). La figurazione viene accettata dalla critica se sofferente ed esistenzialista, ma Botero passerà alla storia come il pittore dell’allegria: le sue pingui figure sembravano confermare il luogo comune secondo il quale le persone sovrappeso sono più allegre.

Eppure la svolta stilistica non era avvenuta con un dipinto di figura ma, nel 1956, con una natura morta, nella quale le proporzioni del mandolino assumono un’assurda monumentalità rispetto alla rosetta insolitamente ridotta. Diceva che le sue figure (ritratti, musicisti, gruppi di famiglia, corride, perché da ragazzo uno zio lo avrebbe voluto matador) non erano un inno alla pinguedine, ma un’esaltazione del volume. Quel volume di solida impostazione spaziale che aveva scoperto in Giotto, Paolo Uccello, Piero della Francesca. In tal senso le sue rivisitazioni, fossero dalla «Camera degli sposi» di Mantegna o dai «Coniugi Arnolfini» di Van Eyck, non erano per lui parodie. Più di una volta ammise piuttosto di aver contribuito a rendere popolare la grande storia dell’arte.

Nel ’73 è a Parigi, ed è lì che comincia a dedicarsi alla scultura; e dieci anni dopo si trasferisce nella capitale italiana della lavorazione del marmo, a Pietrasanta, quando già i rapporti con l’Italia erano strettissimi. Le città cominciano a popolarsi dei suoi voluminosi personaggi. In patria è da tempo considerato il «Picasso colombiano», in Italia è corteggiato da collezionisti e galleristi (Contini di Venezia uno dei più autorevoli). L’arte intorno a lui continuava a cambiare e la politica stava affermandosi come un vero e proprio genere, dagli austeri Allora e Calzadilla all’irridente Maurizio Cattelan. Per dimostrare che la sua pittura non era né un falso naif, né una coloratissima caricatura, ma ancora una volta un’affermazione del valore dei volumi nella figura umana, nel 2005 dipinse un ciclo di 50 opere dedicate alle torture subite dai prigionieri iracheni di Abu Ghraib, detenuti dal governo americano perché accusati di terrorismo. Le opere vennero presentate a Palazzo Venezia a Roma e sarebbe stata una buona occasione perché qualcuno spiegasse quale fosse la ragione per cui opere di analogo tenore realizzate molti anni prima da Enrico Baj fossero straordinarie e quelle di Botero no. Oggi che si parla moltissimo di pittura e ancora di più se ne produce di ogni tipo e qualità, potrebbe essere venuto il momento di riesaminare con meno schematismo l’opera dell’artista colombiano, anche solo per spiegare perché Domenico Gnoli era un genio e lui no. Lascia un record d’asta di 4,3 milioni di dollari per una scultura venduta nel 2022 da Christie’s a New York, un palmares di centinaia di mostre in autorevoli musei internazionali e migliaia di dipinti e sculture, perché la cura maniacale nell’esecuzione delle sue opere non ne inibì la prolificità. Raggiunge la sua ultima moglie, compagna di 47 anni di vita, l’artista Sophia Vari, scomparsa lo scorso maggio.
 

Franco Fanelli, 15 settembre 2023 | © Riproduzione riservata

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È morto Botero, il «Picasso colombiano» | Franco Fanelli

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