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Ralph Gleis

© Georg Gochmuth apa picturedesk

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Ralph Gleis

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Da Dürer a Gerhard Richter, «un museo deve sempre incuriosire»

Il nuovo direttore dell'Albertina di Vienna, Ralph Gleis, racconta i suoi progetti futuri, compresi vernissage per bambini per un approccio «kid first». E confida: «È in Italia che ho scelto la storia dell’arte»

Flavia Foradini

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Storico dell’arte con esperienze di successo, fra l’altro alla direzione della Alte Nationalgalerie di Berlino (2017-24) e come curatore al Wien Museum (2009-17), a inizio 2025 il 51enne Ralph Gleis ha preso le redini dell’Albertina, succedendo a Klaus Albrecht Schröder. Dopo averlo già intervistato nel 2023, quando era stato indicato alla guida del museo, gli abbiamo chiesto ora di illustrarci le sue idee e i suoi progetti e se intenda o meno continuare sulla strada indicata del suo predecessore.

Lei ha affermato di recente che un museo deve essere votato alla contemporaneità. Che cosa deve saper fare un museo come l’Albertina nel XXI secolo?
Credo che l’Albertina debba essere un museo per il pubblico di oggi e per quesiti di oggi, quindi vorrei ripensare il museo con approcci innovativi, per offrire una nuova esperienza dell’arte. L’arte è sempre un’esperienza visiva ma dietro c’è molto di più. È sempre anche uno specchio della società, riguarda anche questioni sociali. Nelle nostre mostre vorrei incuriosire i visitatori e invitarli a questo viaggio di scoperta: abbiamo un milione di opere nel campo dei disegni e della grafica, da Leonardo e Dürer fino ai nostri giorni, abbiamo oltre 100mila opere fotografiche e 70mila fra dipinti e sculture del XX e XXI secolo. Abbiamo inoltre un’importante collezione di architettura, con 1,2 milioni di opere. Vorrei quindi da un lato esporre nuovi artisti e artiste (quest’anno ne presentiamo cinque per la prima volta in Austria) ma anche studiare ulteriormente il nostro patrimonio artistico, perché sono convinto che sia compito di un museo continuare a svolgere ricerche sulle proprie collezioni e presentarne al pubblico i risultati in modo coinvolgente, anche nell’ambito delle mostre.

In termini di nuove ricerche sulla collezione, avete già avviato dei progetti?
Abbiamo iniziato per esempio un programma di ricerca tecnologica triennale sulla produzione dei disegni di Dürer: abbiamo la maggiore collezione del maestro tedesco (140 disegni) e vogliamo letteralmente radiografarli: vedere se il retro ha dei disegni, studiare gli inchiostri, stabilire le tecniche usate e poi presentare gli esiti in un’ampia mostra e in un nuovo catalogo ragionato per il grande anniversario dei 500 anni della morte di Dürer nel 2028. Il nostro pubblico continuerà insomma a poter fruire di mostre eccellenti, ma racconteremo di più la storia dietro le opere e gli artisti che presentiamo, adottando sempre un punto di vista odierno, reso possibile dalle nuove conoscenze acquisite.

Non pensa che possa essere un approccio complesso per il pubblico medio che oggi, chiede soglie sempre più agevoli di fruizione?
Non lo credo. La ricerca che sta dietro a una mostra deve essere offerta in modo che sia alla portata del visitatore medio, ma se chi arriva non ha conoscenze sui temi proposti può comunque vivere il museo come un luogo per sperimentare direttamente arte magnifica e eterna. L’eccelsa qualità delle opere di Leonardo o Dürer, che si possono ammirare da noi ancora fino al 9 giugno, genera un’esperienza sensoriale in chi vi sosta davanti. Incontrare l’arte in una mostra deve poter dare gioia e noi lo vogliamo fare anche con nuovi punti di vista e con nuove percezioni, per esempio con una maggiore interazione con il pubblico: più mostre interattive, più workshop, più proposte per le famiglie, più social media e sguardi «dietro le quinte», per far vedere che cosa facciamo. Per esempio nei nostri laboratori di restauro o nei nostri depositi, dove normalmente entrano solo addetti ai lavori.

Dunque un’apertura a tutto campo, con una non facile coniugazione di ricerca e divulgazione?
Abbiamo bisogno di porre all’arte domande che abbiano a che fare con il nostro oggi. Nel passato possiamo trovare molte narrazioni che si collegano al nostro essere uomini e donne del nostro tempo. Le faccio un esempio. Io ho studiato anche all’Università a Bologna e per me è stata un’esperienza determinante. Il mio intento era di immergermi in una sorta di «Studium Generale». Mi interessavano molti settori: l’economia, la storia, la sociologia e naturalmente la storia dell’arte. E proprio in Italia ho scelto la storia dell’arte, perché fruendone ho vissuto esperienze meravigliose, che in me hanno prodotto una sorta di risveglio: è perché sono stato in Italia, che ora sono qui. E proprio per via dell’ampio ventaglio dei miei interessi, per me l’arte è sempre stata anche un fatto storico, sociale, umano e non soltanto estetico: sia la produzione artistica del passato sia quella contemporanea ha molto a che fare con noi e con la nostra vita.

Il pubblico dell’Albertina è formato in parti quasi uguali da visitatori viennesi o austriaci e da visitatori stranieri. È soddisfatto di queste percentuali o vorrebbe modificarle?
Nessun direttore disdegna un aumento dei visitatori. La composizione del nostro pubblico è particolare: abbiamo visitatori locali che vengono più volte l’anno, grazie al gran numero di mostre assai diverse fra loro, che proponiamo. Attualmente abbiamo Leonardo e Dürer ma anche, per la prima volta a Vienna, la britannica Jenny Saville, e presentiamo inoltre le fotografie di Francesca Woodman. E all’Albertina Modern, nella mostra «Remix» esponiamo 20 artisti tedeschi del XX secolo, da Gerhard Richter a Katharina Grosse. Però se ora entrate nelle nostre sale vedrete che l’affluenza è assai cospicua e tuttavia noterete meno persone fra i 30 e i 50 anni, cioè coloro che mediamente sono attivi nel mondo del lavoro e hanno figli, e quindi possono venire perlopiù quando i figli sono dai nonni o nei periodi di vacanza. Noi perciò vogliamo attirare i nuclei famigliari nella loro interezza, con programmi ad hoc, per esempio vernissage per bambini: un approccio «kid first» che consenta alle famiglie con bambini di vedere le mostre per primi. Ci sono naturalmente persone che non penserebbero mai di andare in un museo, e qui potremmo imparare dalla politica, che studia la porzione di elettori che non va a votare. Anche noi dovremmo cercare di capire come mai non vengano da noi. Sperando di raggiungere nuovi gruppi, dobbiamo provare ad ampliare la nostra offerta.

Il suo predecessore Klaus Albrecht Schröder aveva ampliato l’offerta con l’apertura nel 2020 dell’Albertina Modern e nel 2024 della sede di Klosterneuburg, ma pensava anche a una sede a Venezia. Qual è la Sua posizione al riguardo?
Secondo una tendenza internazionale degli anni duemila, per l’Albertina c’erano diverse idee di uscire dai confini austriaci. Oltre all’Italia anche la Spagna o l’Asia. Tuttavia l’attuale situazione generale non pare favorevole alla creazione di una dépendance all’estero. L’apertura di Klosterneuburg è recente e vorremmo dedicarci al suo consolidamento, dopodiché potremo eventualmente prendere in considerazione un’espansione.

Sia al Künstlerhaus, dove ha sede l’Albertina Modern, sia nella terza sede di Klosterneuburg siete inquilini di Hans Peter Haselsteiner, che, nel caso del Künstlerhaus, ha acquisito il 74% della proprietà, ha restaurato il palazzo e a fine lavori, nel 2016, si era detto disposto a coprire i costi di gestione dell’edificio. Nel frattempo però l’imprenditore e collezionista ha annunciato per giugno 2025 la fine dell’accordo di cooperazione per la parte riguardante l’Associazione Austriaca degli Artisti, insediata al primo piano del Künstlerhaus e ancora titolare del 26% della proprietà del palazzo. Ci sono state ripercussioni anche per l’Albertina, che usa il piano terra e l’interrato?
La questione cui lei accenna riguarda soprattutto il rapporto del signor Haselsteiner con l’Associazione degli Artisti. Per quanto ci riguarda, abbiamo un ottimo rapporto con lui e sia per gli spazi al Künstlerhaus sia per Klosterneuburg i contratti sono a tempo indeterminato.

Qual è la sua posizione rispetto all’intervento anche cospicuo di sponsor per realizzare particolari iniziative?
Le sponsorizzazioni sono enormemente importanti, sono necessarie. Abbiamo buone relazioni con prestatori e molti mecenati ci sostengono. Riceviamo donazioni di danaro ma anche di opere, o sostegni alle loro acquisizioni. Le possibilità sono numerose. A Vienna abbiamo una comunità assai sensibile alle arti. La scena culturale viennese è molto vivace.

Non solo l’Albertina ha cambiato direzione all’inizio del 2025. Anche al Kunsthistorisches Museum (Khm) dal primo gennaio c’è stato un avvicendamento al vertice. Come mai non si è candidato alla direzione del Khm?
Io mi sono candidato all’Albertina perché implica un compito molto affascinante, cioè quello di traghettare verso il futuro un’istituzione ben gestita e svilupparla con successo, con un programma espositivo innovativo e nuovi fulcri tematici. Il Khm comprende numerose istituzioni, molti edifici, molte collezioni e molti team diversi. Il compito è stratificato e il nuovo direttore Jonathan Fine lo svilupperà certamente bene.

Flavia Foradini, 02 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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