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Adobe Creative Residency Community Fund

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Adobe Creative Residency Community Fund

Con Adobe Creative Residency, il museo diventa comunità

Dal V&A al MoMA, proseguono fino alla fine del 2025 le residenze di Starns, Neufeldt, Akuagwu e Pinderhughes attraverso cui Adobe invita a ripensare la creatività come pratica collettiva dentro le istituzioni

Jenny Dogliani

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Adobe, fondata in California nel 1982, è oggi una delle principali multinazionali della creatività digitale. I suoi software – da Photoshop a Illustrator, da Premiere a Lightroom – definiscono da quarant’anni gli standard globali della produzione visiva, editoriale e multimediale. L’azienda non si limita però a sviluppare strumenti: costruisce un vero ecosistema che alimenta industrie culturali, design, comunicazione, cinema, fotografia e nuovi media. Da questa identità, radicata nella consapevolezza che la creatività è una competenza strategica delle società contemporanee, nasce Adobe Creative Residency, un programma internazionale con cui Adobe investe direttamente nei musei e negli artisti, alimentando la creatività come forma di infrastruttura. Adobe Creative Residency non nasce infatti per sostenere un museo o una scena artistica, ma per costruire una rete globale di istituzioni – diverse per storia, geografia e pubblico – capaci di guardare alla creatività con occhi nuovi. È una rete che oggi include il Victoria & Albert Museum di Londra, il Museum of Modern Art (MoMA) di New York, il Museum of Art & Photography (MAP) di Bengaluru, il Museum of Image and Sound (MIS) di São Paulo, i National Museums of Art del Giappone, e altre organizzazioni culturali. In ciascuno di essi, la residenza Adobe non porta una mostra sponsorizzata, ma un artista che lavora dentro i programmi del museo, nelle sue collezioni, nei suoi spazi pubblici e nei suoi processi educativi, facendo della creatività una competenza civica prima che come linguaggio produttivo. Il funzionamento è simile in ogni museo, ma calibrato sul contesto locale. Adobe offre borse, mentoring, strumenti tecnologici, formazione e un orizzonte internazionale; il museo mette a disposizione competenze, archivi, comunità, accesso a pubblici reali. La residenza dura in genere tra i 12 e i 18 mesi e non si conclude con un prodotto finito, ma con un insieme di processi, incontri, prototipi, laboratori e visioni che restano patrimonio dell’istituzione anche dopo l’uscita degli artisti. È un’idea di creatività che riguarda l’inclusione, la partecipazione, la rappresentazione e l’alfabetizzazione visiva: un patrimonio immateriale che un’azienda digitale è in grado di sostenere con continuità.

I tre Adobe Creative Resident del 2025 che saranno al Victoria and Albert Museum di Londra quest'anno. Da sinistra a destra: Michael Akuagwu, Jessica Starns e Ciara Neufeldt. Non è nella foto Samora Pinderhughes, Creative Resident del 2025 al Museum of Modern Art di New York

Il V&A di Londra è oggi la sede più strutturata di questa rete. Qui è in corso la residenza del 2025, affidata a Jessica Starns, Ciara Neufeldt e Michael Akuagwu. I tre artisti non lavorano in isolamento, ma all’interno dei team del museo: Starns con il dipartimento Schools, Neufeldt con i programmi per famiglie e comunità, Akuagwu con i gruppi di giovani. Il loro lavoro coinvolge le collezioni storiche, non per reinterpretarle in chiave estetica, ma per rileggerle nel contesto dei bisogni dei pubblici, per far nascere idee, conversazioni e attività. Starns affronta il design inclusivo come pratica quotidiana: costruisce prototipi insieme a bambini e adolescenti con disabilità, interroga la storia del design attraverso l’accessibilità e usa il museo come luogo di ascolto più che di esposizione. Neufeldt porta nel museo il valore sociale dell’artigianato, trasformando ceramica e mosaico in strumenti per creare comunità e riattivare il tatto, la manualità, la dimensione del fare condiviso. Akuagwu, con una fotografia radicata in esperienze diasporiche e nella cultura digitale, lavora con i giovani su identità, autorappresentazione e narrazioni visive, facendo del fotomontaggio un dispositivo di immaginazione collettiva. Tutti e tre proseguiranno la residenza per tutto il 2025, con la prospettiva che i loro progetti confluiscano nella vita educativa del museo, ben oltre la durata formale dell’incarico. La mostra «Adobe Creative Residents On Display», già aperta al pubblico e visitabile gratuitamente al V&A fino all’1 novembre 2026, documenta le ricerche dei residenti, mettendo in scena i processi più che i risultati. Esporre il percorso – e non un prodotto concluso – è una scelta coerente con la logica del programma: una residenza non è una commessa artistica, ma un meccanismo di trasformazione istituzionale. Altri musei della rete sviluppano approcci complementari. Al MoMA di New York, per esempio, la residenza si concentra su pratiche artistiche con forte carica sociale. L’artista attualmente in residenza, Samora Pinderhughes, sta lavorando su ambienti multimediali concepiti come «spazi di guarigione», rivolti a comunità segnate da violenza e ingiustizia sistemica. È un lavoro basato sulla musica, sulla voce, sull’immagine, che dialoga con gruppi locali e attivisti e che usa il museo non come luogo di validazione, ma come spazio di possibilità. Pinderhughes resterà in residenza nel 2025, affiancato dal team del Dipartimento di Ricerca del MoMA, con esiti espositivi e performativi che verranno presentati nel corso dell’anno. La sede newyorkese dimostra quanto il programma possa assumere declinazioni politiche e sociali specifiche al contesto urbano in cui opera.

Minelike mine

La rete si estende all’Asia, dove il Museum of Art & Photography (MAP) di Bengaluru collabora con Adobe per sviluppare progetti dedicati alla media literacy e alla fotografia come strumento narrativo per adolescenti e giovani adulti; e in America Latina, dove il Museum of Image and Sound (MIS) di São Paulo lavora con artisti che esplorano media digitali e culture sonore in relazione ai movimenti culturali della città. In Giappone, la collaborazione con i National Museums of Art si concentra invece sulla rielaborazione contemporanea delle arti visive e delle tecniche tradizionali, con progetti che connettono innovazione digitale e patrimoni materiali e immateriali. Ciò che unisce queste esperienze non è una linea estetica, ma una logica di innovazione sociale applicata alla creatività: usare l’arte per generare accesso, costruire competenze, sviluppare nuove forme di partecipazione. Adobe non finanzia oggetti, ma processi. Non compra opere, costruisce capacità. Non acquisisce visibilità, attiva collaborazioni strutturali che incidono sul lavoro quotidiano delle istituzioni. Il programma è tra i casi più interessanti di dialogo tra impresa e museo: crea valore culturale attraverso la produzione di conoscenza, di pratiche inclusive, di alfabetizzazione visiva. Se la creatività è una competenza chiave per le società future, Adobe ha scelto di investirvi come bene comune. I musei, dal canto loro, hanno trovato in questa partnership un modo per ripensare la propria funzione sociale, non solo come custodi di un patrimonio, ma come spazi abitati, attraversati da una creatività viva, plurale, radicata nelle comunità che li circondano.

Adobe Creative blog

Jenny Dogliani, 07 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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