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Caravaggio, «Cena di Emmaus», 1606, Milano, Pinacoteca di Brera

© Pinacoteca di Brera, Milano - MiC

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Caravaggio, «Cena di Emmaus», 1606, Milano, Pinacoteca di Brera

© Pinacoteca di Brera, Milano - MiC

Caravaggio: un dettaglio che mette in discussione le narrazioni eurocentriche

Sia nei «Bari» e sia nella «Cena di Emmaus», opere esposte nella monografica dell’artista da poco conclusa a Palazzo Barberini, è presente un tappeto orientale, ma in pochi l’hanno notato

Lo straordinario numero di visitatori (circa 450mila, Ndr) alla mostra «Caravaggio 2025», conclusasi a Roma lo scorso 20 luglio, invita a una riflessione: quanti avranno notato, in due delle 24 opere esposte, la presenza di un tappeto orientale? Nei «Bari» (1596-97 ca) e nella «Cena di Emmaus» del 1606 (Milano, Pinacoteca di Brera) i tavoli sono coperti da tappeti turchi di fine XVI secolo riprodotti con straordinaria precisione: nel primo caso un Lotto e nel secondo un Ushak a stelle (uno simile compare anche nella «Cena di Emmaus» del 1601 conservata nella National Gallery di Londra, non in mostra). 

Questo dettaglio apparentemente secondario apre molteplici prospettive: consente di affinare la datazione dei dipinti e la biografia dell’autore, di leggere le consuetudini dell’epoca (arredamento, stili di vita, collezionismo) e di interrogarsi sulle ragioni che spinsero Caravaggio a rappresentare quegli oggetti. Il tappeto è una chiave per comprendere il peso della cultura materiale nel processo creativo. In Caravaggio: The Art of Realism (2006) J.L. Varriano racconta che il libro nasce dalla domanda di una studentessa sul perché nella «Cena di Emmaus» di Londra sul tavolo ci fosse un tappeto islamico: una semplice osservazione capace di aprire nuove strade di ricerca. Eppure, nel catalogo Caravaggio 2025 non se ne fa menzione. 

I tappeti nei dipinti restano spesso ignorati dagli studiosi di pittura, anche se due mostre recenti hanno iniziato a mutare questa prospettiva: «Rivedere Cimabue. Alle origini della pittura italiana» (Parigi, Louvre, 2025) e «Siena: La nascita della pittura, 1300-1350» (Londra, National Gallery, 2025) hanno esposto tappeti e tessuti accanto ai dipinti rivelandone il ruolo nel contesto artistico dell’epoca. I tappeti sono stati a lungo considerati appannaggio degli studi specialistici (in Italia ne hanno trattato spesso A. Boralevi, L. Brancati, G. Curatola, M. Spallanzani). 

In un mondo dominato da rapidità e accumulo di immagini, la capacità di soffermarsi sui dettagli è sempre più rara. Eppure, notare e interrogarsi su un tappeto orientale in un dipinto significa esercitare uno sguardo critico e attivo che dovrebbe uscire dagli ambienti specialistici e diventare parte dell’educazione visiva. Scuola e Università hanno la responsabilità di formare sguardi consapevoli e curiosi, capaci di leggere le opere come nodi di una rete di scambi culturali. A Genova abbiamo avviato un’indagine, da estendere a livello nazionale, sul rapporto tra culture europee, mediterranee e orientali nella didattica della storia dell’arte. Dal confronto è emersa l’urgenza di formare operatori culturali capaci di superare pregiudizi identitari e valorizzare componenti del nostro patrimonio ancora poco considerate, come la cultura islamica, che ha lasciato tracce profonde nell’arte e nell’architettura italiane. La scuola secondaria è luogo ideale per introdurre queste connessioni: l’esperienza visiva dei giovani richiede un’educazione a rallentare lo sguardo. Osservare i dettagli, porre domande, collegare l’opera al suo contesto storico e culturale stimola memoria visiva, pensiero critico e apertura mentale. Non si tratta solo di riscoprire il passato condiviso del nostro Paese, da sempre attraversato da molteplici correnti di scambi e contaminazioni, ma di costruire una visione dell’arte più ampia e inclusiva, indispensabile per una convivenza fondata su conoscenza e rispetto.

Caravaggio, «I Bari», 1596-97. © Kimbell Art Museum, Fort Worth, Texas

Elisabetta Raffo, 06 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

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