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Il «Cristo alla colonna» di Donato Bramante dopo il restauro

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Il «Cristo alla colonna» di Donato Bramante dopo il restauro

Brera, il «Cristo alla colonna» di Bramante ora è protetto da una teca climatizzata

Brera, il «Cristo alla colonna» di Bramante ora è protetto da una teca climatizzata

Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Milano. Dopo la seria disavventura subita nei primi giorni dello scorso gennaio, quando un repentino abbassamento della temperatura esterna e dell’umidità dell’aria aveva causato numerosi sollevamenti della pellicola pittorica, il primo giugno il «Cristo alla colonna» di Donato Bramante è tornato al suo posto, nella sala XXIV della Pinacoteca di Brera. Allora erano state molte le polemiche, alle quali il direttore James Bradburne aveva ribattuto facendo rilevare, come oggi ha ribadito, «la rapidità e la competenza» di chi la mise in sicurezza e che l’ha poi restaurata.

L’opera, uno fra i massimi capolavori del museo, era stata infatti immediatamente «velinata» con carta giapponese, per essere poi presa in cura dal team dei restauratori del museo (Andrea Carini con Paola Borghese e Sara Scatragli), nel laboratorio «trasparente» che si trova nel cuore della Pinacoteca. Fragilissimo (già nel 1927 fu definito da Mauro Pelliccioli «un malato cronico», il cui restauro aveva comportato per lui grande «pena e stento»), il dipinto è stato ora sottoposto a fissatura e consolidamento dei sollevamenti della pellicola pittorica, assottigliamento della vernice e dei ritocchi alterati, reintegrazione pittorica e applicazione di una vernice protettiva. Ma il restauro è stato anche l’occasione per una campagna di documentazione fotografica approfondita, mentre la diagnostica con Imaging multispettrale (riprese in fluorescenza ultravioletta, Uvf; riflettografia infrarossa, Irr, 950 e 1700 nm; infrarosso falso colore, Irfc; radiografia, Rx) ha gettato più d’una luce sulla tecnica pittorica e sulle vicende vissute nei secoli da questo dipinto, realizzato da Bramante a olio su tavola intorno al 1489-90.

Conservata lungamente nell’Abbazia di Chiaravalle, l’opera fu trasferita in Pinacoteca nel 1915, per sottrarla ai rischi ambientali e di sicurezza cui là era soggetta: quando vi giunse, già mostrava uno stato di salute assai compromesso, con evidenti danni e sollevamenti, cui tentò di porre rimedio nel 1923 Oreste Silvestri, nel 1927 il citato Pelliccioli, poi, seppure in modo più limitato, si provvide negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Ora però, a proteggerla dai rischi termoigrometrici, ci sarà la teca climatizzata (clima frame) realizzata da Goppion Spa.

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Ada Masoero, 06 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

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