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Protagonista di ogni mostra monografica è, ovviamente, l’artista, ma non meno importante per l’efficacia di un progetto espositivo è il ruolo di chi lo cura. Specie in occasione di una mostra complessa e articolata come quella che Milano dedica fino al 14 settembre a Remo Salvadori. Ne parliamo con le curatrici, Elena Tettamanti e Antonella Soldaini.
Com’è nato questo progetto sull’arte di Remo Salvadori diffuso in tre sedi? E perché tre date inaugurali e una diversa durata per ognuna delle mostre?
E.T. Il progetto di questa mostra è il riconoscimento dell’opera di uno degli artisti più significativi della scena contemporanea italiana, che proprio a Milano ha realizzato il suo percorso creativo e di ricerca artistica cominciato negli anni Settanta. Non volevamo però realizzare una semplice retrospettiva, ma creare un’esperienza immersiva nella pratica e nel pensiero dell’artista. Per questo, abbiamo concepito una «mostra diffusa», scegliendo tre luoghi simbolici della città di Milano: Palazzo Reale, il Museo del Novecento e la Chiesa di San Gottardo in Corte. Una pluralità di sedi è stata fondamentale per offrire al pubblico una comprensione approfondita della sua arte.
D’accordo con l’artista, avete optato per un ordinamento della mostra che cancella la cronologia. Perché?
E.T. e A.S. Il percorso espositivo prescelto si distanzia dal concetto tradizionale di rassegna monografica e cronologica, ponendo l’attenzione invece sui nuclei tematici rappresentativi dell’opera di Remo Salvadori, al di fuori di ogni riferimento contingente e temporale, invitando chi osserva l’opera a diventare una figura partecipativa dell’evento, «nel momento» del suo farsi. L’idea, condivisa dall’artista e da noi curatrici, è che ogni «fattore» della mostra sia «contaminato» dall’opera, dalla presenza del visitatore e dallo spazio che li accoglie. L’intento è che il visitatore si trovi ad attraversare una sequenza di «stanze» che abitano il pensiero dell’artista, coinvolgendosi in un «dialogo» tra sé e l’altro, in una reciprocità da cui si sviluppa un nuovo modo di vedere l’esistente e da cui prendono vita inedite modalità di relazionarsi.
Con le vostre diverse sensibilità di architetto e di storica dell’arte, vorreste dare una lettura personale dell’opera di Salvadori?
E.T. Come curatrici ci siamo immerse profondamente nell’universo di Salvadori. Il nostro ruolo è stato quello di interpretare e dare forma a un percorso che rispecchiasse la sua poetica. Da un punto di vista più orientato all’architettura e all’allestimento, l’aspetto che considero più significativo è la costante attenzione di Salvadori al dialogo tra l’opera e lo spazio. Le sue creazioni non sono oggetti inerti, ma elementi che trasformano e sono trasformati dall’ambiente circostante, invitando il visitatore a una partecipazione attiva «nel momento». La capacità di mettere in relazione opere storiche e installazioni site specific in un ritmo visivo sorprendente crea un’esperienza in cui l’architettura diventa parte integrante dell’opera stessa, quasi un’estensione del suo studio. È un artista che concepisce lo spazio come elemento vivo e reattivo, e le sue opere, come «Nel momento», che interagisce con la piazza del Duomo, ne sono la prova più lampante.
A.S. Dal punto di vista della storia dell’arte, trovo che Salvadori si collochi in una posizione unica. Ha sviluppato un linguaggio personale attraverso scultura, installazione e interventi in dialogo con lo spazio sin dagli anni Settanta. La sua opera, fondata sull’interazione tra l’osservatore ed elementi come acqua, colore e metalli, si propone di offrire una nuova consapevolezza di sé e del mondo. È un lavoro che, riletto a posteriori, funge da ponte tra l’esperienza dell’Arte Povera e le istanze successive, pur mantenendo una forte originalità. È significativa la sua costante attenzione verso ciò che lo circonda e verso la sua dimensione interiore, che si manifesta in riflessioni su colore, forma, materiali e modalità di rappresentazione e osservazione. Le sue opere ci spingono a una maggiore conoscenza della nostra sensibilità, stimolando un dialogo profondo con l’esistente.

Remo Salvadori, «L’osservatore non l’oggetto osservato», 1985 (2003). Ogr, Torino, 2024. Foto © Andrea Rossetti
L’accesso alla mostra è gratuito. Come ci siete riuscite?
E.T. La mostra è il frutto di una coproduzione tra Palazzo Reale ed Eight Art Project, con la promozione del Comune di Milano-Cultura, il patrocinio del Ministero della Cultura e la collaborazione di Museo del Novecento e della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano ed è stata resa possibile grazie al sostegno di sponsor particolarmente sensibili ai temi della cultura e dell’arte. Per merito di questa sinergia siamo riusciti a rendere gratuito l’accesso alla mostra a Palazzo Reale e all’opera installata al Museo del Novecento (ai piedi della scala elicoidale, Ndr), che è diventata parte della collezione di questa prestigiosa istituzione milanese. Un vero e proprio dono alla città di Milano, allo scopo di rendere l’arte contemporanea accessibile a un pubblico più ampio possibile.
Com’è articolato il catalogo?
E.T. e A.S. Il volume è un elemento chiave per approfondire l’universo di Salvadori. È una pubblicazione in due tomi, contenuti in un cofanetto, edito da Silvana Editoriale. La pubblicazione approfondisce le principali tematiche della ricerca di Salvadori con un approccio multidisciplinare. Si ispira al concetto, caro all’artista, di «cantiere», inteso come un processo creativo segnato dall’interazione di figure diverse. Il primo volume contiene un testo critico in cui si spiegano le ragioni della mostra e del libro stesso, una conversazione tra noi curatrici con l’artista stesso e i contributi di 34 autori provenienti non solo dal mondo dell’arte, ma anche dalla filosofia, dalla storia e dall’ermeneutica, ai quali sono stati assegnati 33 «lemmi» che fanno parte dell’universo artistico di Salvadori. Hanno partecipato sia intellettuali che conoscono l’opera di Salvadori da tempo, sia giovani ricercatori che si sono avvicinati al suo lavoro in quest’occasione. A queste voci si aggiungono quelle di figure che hanno accompagnato Salvadori nel corso della sua vicenda artistica, come Germano Celant e Pier Luigi Tazzi, che hanno fornito una lettura critica del suo lavoro sin dagli anni Settanta. Il secondo volume è dedicato alle immagini: raccoglie le fotografie di tutte le opere che fanno parte del progetto espositivo, da Palazzo Reale al Museo del Novecento, fino alla Chiesa di San Gottardo. La sua configurazione è quella di un leporello, il che significa che può essere esposto aperto, diventando esso stesso un oggetto d’arte.
Parte integrante dell’esposizione sono diversi interventi musicali che si svolgono durante i giorni di apertura e che coinvolgono il gruppo multidisciplinare «Tutto Questo Sentire». Qual è la relazione tra le opere d’arte e queste che si possono definire delle performance sonore?
E.T. Il legame di Salvadori con la musica risale agli anni Settanta. Una sua installazione del 2007 è stata abbinata a una composizione di J.S. Bach per quattro pianoforti; successivamente, in più occasioni, la musica è diventata elemento sostanziale del processo espositivo tramite l’esecuzione di partiture di Giacinto Scelsi. Una connessione, quella con la dimensione astratta e atemporale del suono, che testimonia l’interesse dell’artista per il superamento di ogni categoria precostituita: quella «danza di relazioni», come lui la definisce, che contraddistingue tutta la sua ricerca passata e presente.
Che lezione può trarre da questa mostra un giovane che, magari, conosce poco l’artista?
A.S. In una realtà come quella in cui siamo immersi, che si manifesta come mobile, complessa, instabile e soggetta a cambiamenti, l’arte di Salvadori invita alla riflessione ed elude definizioni univoche e leggi perentorie, manifestando così tutta la sua attualità. Essa suggerisce prospettive capaci di andare oltre quanto già sappiamo e ci spinge a relazionarci con l’opera adottando un’ottica diversa. Si può dire che la mostra è un buon viatico per avvicinarsi all’espressività del linguaggio artistico contemporaneo.

Elena Tettamanti, Antonella Soldaini e Remo Salvadori. «Remo Salvadori», Palazzo Reale, Milano. Foto © Altopiano